Carta, anzi cartina, canta.

 di Marco Giannini

Visualizzare la diplomazia.

In tempi in cui la pratica diplomatica è questa…

… il mondo della stampa ha i suoi bei problemi nello spiegare che i movimenti delle truppe e degli armamenti sono nella maggioranza dei casi minacce, non seguite necessariamente da azioni.

Uno scacchista polacco del secolo scorso, Tartakower, diceva infatti che “La minaccia è più forte della sua esecuzione”, perché induce reazioni che possono poi rivelarsi sbilanciate e improvvide.

Sarà questo il caso delle complesse relazioni diplomatiche che ruotano attorno alla guerra in Siria? E’ proprio vero che le posizioni sul campo di battaglia sono ferme da oltre un anno e che, nonostante le invocazioni di Hollande, una forza internazionale di intervento non è in preparazione?

Sicuramente leggendo fonti diverse si ricevono impressioni diverse; limitandosi a quel che circola a mezzo stampa in Italia, l’armata a guida statunitense che (così si legge) martella le posizioni di Daesh da oltre tre mesi è stata definita “l’arma vincente” (Il Foglio), “(dotata) di una relativa potenza di fuoco” (Corriere della Sera), “imbelle” (Limes). Ma la confusione non nasce dal confronto tra testate giornalistiche di interessi o semplicemente di punti di vista diversi, quanto dal fatto che la stampa è in genere abituata a proporre nuovi modelli e stil quando deve analizzare fatti conclusi, e piuttosto incline a percorrere strade già segnate quando deve raccontare i retroscena o provare a indovinare quel che succederà.

L’Infografica imprudente.

La stessa prudenza non è permessa nelle infografiche che analizzano i rapporti tra le grandi potenze mondiali impegnate nel focolaio mediorientale, intanto perché la sintesi di cui cartine e grafici sono usualmente dotati non lascia spazio a sotterfugi e fa giustizia delle zone d’ombra: in poche parole e per fare un esempio, un’area di controllo visualizzata su una mappa può avere una tinta melange, o un margine tratteggiato che segnala che quell’area è controllata ma non totalmente, ma insomma quel margine è disegnato oppure non lo è, quindi a una prima impressione il controllo esiste oppure non esiste: il lettore non si inganna.

Poi c’è la complessità delle relazioni diplomatiche, legata soprattutto alla storia recente. A rendere visivamente e concisamente la situazione diplomatica attorno alla Siria ha provato per prima Al Jazeera, a metà settembre 2015, con questa schematica distinzione tra “sostenitori dell’intervento militare” (cioè soldati spediti sul campo in Siria) e “oppositori dell’intervento militare”:

http://www.aljazeera.com/indepth/interactive/2013/08/201383111193558894.html

A terra? Non se ne parla.

Col senno di poi (inizio dicembre 2015) sappiamo che l’intervento di terra ancora non si vede – a parte qualche carrarmato sovietico sbarcato a Tartous e a Latakia – ma la divisione in interventisti e non interventisti resta ancora valida: le didascalie rendono conto dell’azione delle rappresentanze al Consiglio di Sicurezza Onu (viene ricordato che Russia e Cina hanno posto il veto tre volte), del supporto offerto ai ribelli anti-Assad annidati in alcune roccaforti lontane da Damasco (come Homs e Aleppo) sapientemente indicato dall’area sovrapposta dei cerchi di Usa, Gran Bretagna e Francia, e perfino della vicinanza geografica, indicata in verde.

Insomma elementi di insiemistica combinati con una sintesi estrema.

Meno sintesi e più analisi nella serie di infografiche e cartografie pubblicate dal New York Times a metà ottobre:

le trovate a questo link

Qui le guerre sono diverse, e diversi i nemici: si fa distinzione tra nemici primari e secondari (L’Isis è un nemico secondario per la Siria di Assad e la Russia di Putin, e primario per gli Stati Uniti, i curdi, gli alleati europei e la Turchia), ma nella fredda ratio anglosassone traspare una diversità di trattamento tra i Paesi Nato e gli altri. In particolare

l’atteggiamento turco nei confronti della minoranza curda è definito di semplice “preoccupazione” (concern).

Le Monde propone sempre a metà ottobre una scenografica combinazione tra alleati regionali e alleati internazionali, centrata sul dato geografico: i nemici in casa vanno affrontati prima dei nemici esterni, e infatti nel cerchio interno si sommano tutte quelle forze locali che sole inviano truppe a combattere.

Nel cerchio appena più esterno sono elencati i Paesi vicini coinvolti nel conflitto, e in quello ancora più esterno le potenze impegnate nei bombardamenti. Il ruolo della Russia e della Turchia appare ben definito, e l’impressione complessiva che se ne riceve è che ciascuno sia in Siria per curare i propri interessi locali, tranne forse i membri della Coalizione Internazionale.

Il dato geografico era stato già proposto dalla redazione di Repubblica – e realizzato da chi scrive – a fine settembre…

… ma senza trarre le dovute conclusioni, come invece fa senza indugi, Le Monde: Gli Stati Uniti combattono lo Stato Islamico, la Russia sostiene il regime di Assad e la Turchia cerca di impedire la formazione di uno stato curdo indipendente:

Il Wall Street Journal allarga l’area raccolta in una cartografia di fine novembre a tutto lo scenario arabo, includendo l’instabile Iraq e la guerra in Yemen (una coalizione sunnita cerca di restaurare da mesi il presidente Mansour Hadi, scontrandosi con milizie Houthi finanziate dall’Iran; nessuno ne parla), e anche la posizione attendista di Israele.

Wall Street Journal, la rete di interessi in Iraq e,Siria

Sapientemente sintetizzati in legenda, compaiono anche qui i rifornimenti incrociati di armi, truppe e disponibilità finanziaria. Si noti come l’infografica affermi senza giri di parole che il governo iracheno acquista armi sia dagli Usa che dalla Russia

https://www.dropbox.com/s/d5ypy4qe5ijyyxp/19o%20wall%20street%20journal.png?dl=0

Già ad aprile 2015 l’Economist aveva messo in evidenza il ruolo degli Stati Uniti e di molti Paesi arabi sciiti nel sostegno al governo Yemenita, e lo aveva inserito nel focolaio mediorientale. Era il periodo in cui il Consiglio di Sicurezza Onu (più la Germania) aveva concluso con l’Iran un accordo per la riduzione del potenziale atomico persiano, in cambio di una graduale riduzione dell’embargo economico.

Che succede in Italia.

Anche i giornali italiani (voci tutto sommato dissonanti col governo dell’unica nazione occidentale apertamente contraria a ogni tipo di intervento di terra) da mesi a questa parte si allineano al mainstream occidentale, impilando minacciosi modellini di aerei in volo sopra statiche cartine siriane disseminate di esplosioni, e promuovendo la sensazione che la guerra è cominciata da tempo e ormai bisogna accettarla e soprattutto combatterla.

Gli altri, Russia, Cina.

E gli altri? In Russia Ria Novosti e Russia Beyond the lines (i due maggiori editori russi di giornali) impongono alle loro infografiche un’atmosfera patinata e prudente, e si limitano a riproporre fatti già noti (come lo schieramento bellico anglo-franco-statunitense nei mari mediorientali). Sputnik News (agenzia stampa governativa per le notizie diffuse all’estero) propone in più un dettagliato report dei bombardamenti russi in Siria, come se si trattasse di un fatto non interpretabile (o confutabile). Ricordiamo che nei primi giorni dopo l’entrata in guerra della Russia le agenzie stampa occidentali puntarono il dito proprio sul fatto che i Sukhoi di Putin attaccavano le posizioni dei ribelli anti-Assad, e solo raramente arrivavano a sganciare bombe sui territori controlllati dall’Isis.

http://sputniknews.com/infographics/20151130/1030993895/russia-syria-operation-interactive.html

Nella più completa infografica di ambito siriano apparsa sul South China Morning Post (Singapore) domina la crisi dei rifugiati siriani, e si accenna solo in un angolo alla disposizione delle superpotenze impegnate in questa anticipazione di terza guerra mondiale:

Alla conclusione di questa sintetica rivista viene da pensare che una ricetta unica per visualizzare la diplomazia non esista, o non sia stata ancora trovata. Anche perché, come si è visto, spesso chi ha il potere di visualizzare e diffondere fa parte di un sistema propagandistico – seppur soffuso – che ha una posizione in materia e in certi casi anche degli interessi.

Descrivere visivamente la tensione attraverso ciò che viene minacciato e per quale motivo può essere difficile, per questo si preferisce rappresentare ciò che è stato irrimediabilmente distrutto.

Eppure in passato non è sempre andata così. A giudicare da questa infografica di Bloomberg, e soprattutto da quel che ciascun leader europeo del tempo pensava degli altri, la diplomazia europea avrebbe dovuto avere termine nel 2011 e portare a un rapido conflitto continentale.

http://www.bloomberg.com/bw/magazine/europes-insult-diplomacy-11032011-gfx.html

Invece quattro anni dopo questo scambio di fioretti noi europei siamo ancora appassionatamente uniti; e cerchiamo oggi come ieri tutti insieme un modo per giustificare le nostre guerre, prima di farle.

 

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