Luigi Toiati
Tanto va la gatta al gatto che ci nascon dei gattini.
“- L’Aleph? – ripetei. – Sì, il luogo dove si trovano senza confondersi tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli“. (Jorge Luìs Borges, “L’Aleph”)
Quando, in una relazione interpersonale, io dico al mio interlocutore “sì, già lo so” è perché credo “ovviamente” di saperlo; se invece asserisco “ti/le consiglio questa soluzione”, è perché sto per rifilargli la soluzione per me più “ovvia”; se viceversa profferisco il fatidico “scusi se la interrompo” significa che sto pensando: tanto non mi perdo niente, è talmente “ovvio” quello che mi sta dicendo; laddove il mio “non capisco che c’entra” vale invece per: ma che vuole questo? È ovvio che non mi interessa, ma non lo capisce?; e così via.
Via dalla pazza folla.
Ma se al contrario mi soffermo, ascolto, le cose cambiano: scopro di non sapere, o che ci può essere un’altra soluzione; che mi ero perso effettivamente qualcosa, o che quello che mi veniva detto era affatto pertinente.
Parlare è un’arte, ascoltare è un dono!
“Tutto è fatto sotto il segno della curiosità”, dice Sergio Romano: “Se quindi è la curiosità per un evento quella che ci porta ad aderire ai luoghi comuni, all’ovvio, è anche la curiosità ad andar oltre che ci porta a superarlo.”
È qui che appare il “Meme”, fonte per eccellenza tanto di ogni apparente ovvietà e luogo comune, quanto del naturale antidoto della curiosità, che ci spinge ad “andar oltre”.
Il “Meme” genera l’ovvio, lo stimmatizza in luogo comune, e poi se lo lascia alle spalle autogenerando dall’ovvio precedente un Meme successivo, non necessariamente allineato al primo, anzi spesso di segno affatto diverso. Vediamo ora cosa sia, ‘sto “Meme”.
Nei suoi studi, Richard Dawkins elogia il Gene non codificante, quello che va apparentemente per conto suo (leggete il suo: “Il Gene Egoista”), e che dà origine a copie di se medesimo un po’…bislacche. Poi fa un altro piccolo passo, e propone il Meme, che alla pari del Gene è un replicatore: notate la similitudine verbale tra meme e gene. Peraltro io lo scrivo in inglese, ma lo pronuncio in italiano, ”meme”, per assonanza con “gene”: in inglese invece entrambi suonano “i”, “mìm, gìn”.
Niente è scontato.
La domanda di base di Dawkins è “What if you’re wrong?”, “che succede se hai torto?” Se quello che stai dicendo/facendo sembra ovvio, ma non lo è? O, se anche lo sia, può generare qualcos’altro che ovvio non è affatto? Niente è scontato,“dal letame nascono i fior”. Il Meme (dal greco “mìmema”, l’imitato, il ritratto, il rappresentato) è dunque una molecola capace di creare copie di se stessa da una mente all’altra. È qualsiasi cosa apprendibile e trasmettibile.
Ma guardate bene cosa succede abitualmente nella trasmissione. Se io prendo dieci persone, e alla prima di queste racconto, separatamente dalle altre, una storia in una stanza, poi faccio entrare la seconda, e chiedo alla prima di raccontare a questa la stessa storia, e alla seconda di raccontarla poi alla terza, e così via, alla fine la storia raccontata dall’ultima persona non avrà sostanzialmente più niente a che fare con la mia storia originaria. E’ intervenuto il meme, che ha “replicato” – e replicherebbe all’infinito – la mia storia originaria.
Come un virus.
Il Meme è dunque un virus, un’unità che si autopropaga per fenomeni imitabili modificandosi e creando un’altra copia “stabile” che tende a prendere il sopravvento.
Memi e geni parassitano l’organismo ospite e gli sopravvivono. Le loro caratteristiche sono fecondità, longevità e fedeltà di copiatura.
La terra è piatta e il sole le gira intorno: per quante generazioni ha funzionato? Idea feconda, longeva e fedele.
“La nostra vita culturale è piena di cose che sembrano propagarsi come un virus da una mente ad un’altra: musichette, idee, barzellette, moda, modi per costruire un vaso o un ponte… I Meme lavorano longitudinalmente attraverso le generazioni, ma anche orizzontalmente, come un virus in un’epidemia” (Richard Dawkins)
L’evoluzione, dalla cravatta allo smoking.
La cravatta in origine era un fazzoletto annodato intorno al collo sotto il colletto, poi si sostituisce al colletto stesso sotto forma di un’ampia gorgera inamidata, poi diventa un fiocco, che dopo un po’ però porteranno solo gli artisti; si assottiglia e si evolve con un nodo “scapino”, ma anche in foggia di bow-tie, ossia nella cravatta a farfallino; infine diventa un capo del quale si appropria anche la moda femminile. Idem per lo smoking, che dal fumatore –suo destinatario originario, come dice il nome- passa all’elegantone o alla signora eccentrica; o al trench, che dalla pioggia della guerra in trincea (“trench” vale per: ”trincea”) passa a ripararci dalla pioggia civile.
Ruota, cinghia, pedale esistono da quasi sempre, ma sarà Singer a unirli per farci la macchina da cucire. Che successivamente però, evolvendosi, ma restando “fedele e longeva”, sarà azionata elettricamente.
La Madonna è vergine anche per un errore di traduzione: la parola ebraica per “ragazza” viene tradotta in greco con “parthènos”, vergine, appunto. Il meme si evolve fino a creare dissidi religiosi tra cattolici e protestanti.
Non c’è traccia invece di bue e asinello nel Nuovo Testamento: ma Isaia dice più o meno che quando arriverà il Messia anche un bue ed un asino lo riconosceranno, ma gli Ebrei no: queste due bestie, sapientemente sfruttate dall’iconografia cristiana, serviranno a denotare l’ignoranza degli ebrei rispetto ai “veri credenti”. Acqua al mulino del meme dell’antisemitismo.
Memi deboli e Memi forti.
Memi deboli soccombono, come ad esempio la parrucca, sopravvissuta nella moda per ben tre secoli come fondamentale capo d’abbigliamento, nonché di distinzione sociale, oggi relegata a ruoli minori e inquietanti.
Memi forti si evolvono: il telefono oggi trasmette direttamente, non più tramite una centralinista; è stato staccato dal muro, e il microfono lo si è incorporato; è stato inventato il telefono a gettone prima, e il cellulare poi, che si è a sua volta evoluto in Internet, nell’Ipod e Ipad, e mi sa che ancora ne vedremo delle belle.
Il meme è quindi la radice dell’ovvio: genera tanto il “dare per scontato”, che il superamento dell’ovvio medesimo. Che magari a sua volta si trasformerà in ovvio.
La propagazione.
Il Meme dunque nasce, poi, sfuggendo al proprio artefice, passa di bocca in bocca, scindendosi di volta in volta in altri Memi che seguiranno lo stesso processo, tornando a loro volta a passar di bocca in bocca, evolvendosi, rimanendo stabili, o soccombendo.
Noi subiamo le credenze – i Memi. Ma siamo anche noi a produrli; noi vi assentiamo o dissentiamo, noi li modifichiamo o li aboliamo, noi ne creiamo di uguali o diversi, noi li subiamo di nuovo, o ci diguazziamo dentro. Noi, tanto consumatori che produttori, Sora Cesira e Grande Fratello. Ognuno ha il prodotto che si merita.
Dal pub al gastropub grazie al divieto di fumo.
Concludo questa tirata sul Meme, con qualche esempio del’uso dell’info-mondezza, o Meme, nel mio lavoro di ricercatore di mercato.
Arriva la legge anti-fumo: tragedia in Europa e nella perfida Albione. Quest’ultima vede infatti paurosamente decrescere il numero degli avventori nei pub. A nulla serve introdurre grandi televisori al plasma: sì, la gente ci guarda qualche partita, ma l’atmosfera sociale del pub, un tempo calda, fumosa e vociante, ora gela e ammutolisce. Che fare? Le ricerche di mercato svelano che i consumatori ovviamente non si arrendono alla draconiana rigidità del divieto. Vanno, altrettanto ovviamente, a… fumare fuori. Vengono così introdotti i “funghi a gas”, quei buffi caloriferi a ombrello, poi dilagati in Europa (Meme), che consentono di bere e fumare all’aperto anche quando fa freddo. Magari con l’aiuto di una copertina di lana sulle ginocchia, gentilmente fornita, a macchia d’olio, dai gestori in fogge e colori diversi e magari con il logo del posto di ristoro: propagazione del Meme “coperta”. Questi espedienti non consentono solo di bere e fumare fuori, ma anche di mangiarci: così nasce il gastropub, un’originale forma di gastronomia – inizialmente solo britannica – che allarga i fino allora ristretti menù dei pub inglesi ad agapi più sfaccettate.
Non solo: il pub, che fino allora cucinava pochi piatti solo all’ora di pranzo, ora prevede anche un (vasto) menù serale, e domenicale. Fumatori e non si ritrovano insieme all’aperto…e socializzano nel “beer garden”!
I tabù delle donne.
E, se permettete, parliamo di donne. Il tabù del ciclo è un Meme longevo che ha prodotto un ovvio stabile: i problemi, gli odori, il disagio dello sporco. Le aziende illudono la Sora Cesira che con i loro prodotti si può nuotare, correre, andare in bici.
Imparando ad “ascoltare l’ovvio”, si è capito che le donne non mirano al perfezionismo, ma a migliorare il proprio aspetto, e sono stanche dei mirabolanti modelli aspirazionali. Perché correre verso l’impossibile quando posso star bene così come sono? Ed è arrivata come abbiamo visto la campagna Dove, con matrone bianco-grigio crinite e madamigelle cicciottelle, che testimoniano il loro star a proprio agio con se stesse. Segno che il consumatore, quando vuole, sa prendersi le sue responsabilità.