Marco Giannini
Problemi di autostima
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi lo ha detto chiaramente fin dall’inizio del suo mandato, in particolare di fronte alle convocazioni degli industriali: “Siamo i peggiori direttori commerciali di noi stessi. Dobbiamo cambiare il nostro racconto”.
Cioè non sappiamo raccontare i nostri punti di forza, ma solo spiegare le nostre difficoltà.
Difficile dargli torto: l’Italia ha grossi problemi di autostima, e di conseguenza gli italiani faticano a considerarsi un insieme e cercano il successo nell’individualismo. E’ un problema annoso (ne parlava già il grande giornalista Giorgio Bocca, che sull’Espresso per anni e decenni tenne una rubrica chiamata L’anti-italiano) e un discorso difficile da affrontare, perché le cause sembrano tante e diverse.
Da qualche parte bisogna pur cominciare e la conoscenza di sé è sempre il primo passo per risolvere i propri problemi.
La percezione dei problemi sociali.
Senza cercare appigli nella psicanalisi, la grande agenzia francese di marketing Ipsos ha condotto una ricerca vastissima sulla percezione dei problemi sociali, e ne ha analizzato i risultati attraverso lo scarto tra la percezione che gli intervistati hanno dello stato di salute della propria comunità e la realtà dei fatti. La ricerca si basa su migliaia di interviste condotte in 33 Paesi – dagli Stati Uniti all’India alla Cina, passando anche per l’Italia – consistenti in una decina di domande generali: l’età media nel proprio Paese, la distribuzione della ricchezza, la percentuale di immigrati, la quota di donne che lavorano e la rappresentanza femminile nelle istituzioni e così via. La risposta va scelta fra tre possibilità offerte nell’intervista.
Quasi sempre si sbaglia di grosso.
Quel che i dati dicono è che, a seconda dell’argomento, le popolazioni dimostrano una tendenza a sottostimare o sovrastimare un fenomeno basata sulla speranza o sulla paura, e la maggior parte delle volte sbagliano di grosso.
Partiamo dalla stima della ricchezza complessiva posseduta dall’1% più ricco nel proprio Paese. Brasile, India, Russia e altre economie in forte crescita nell’ultimo decennio sottostimano il valore reale, forse perché sentono ancora vicino un periodo di povertà diffusa e non sono a conoscenza della crescita di tycoons e altri super-ricchi all’interno delle proprie società, mentre Paesi occidentali di lunga prosperità come l’Inghilterra o la Francia, in cui le borghesie cittadine da tempo si sono radicate e irrobustite, sovrastimano di molto il fenomeno, probabilmente a causa del fatto che le loro rispettive società appaiono molto frammentate e ingiuste.
La percentuale di persone che si dichiarano non-religiose è largamente sovrastimata quasi ovunque. Alla base di tale prova d’ignoranza c’è forse un’esagerazione nella percezione che i valori tradizionali sono in crisi? Oppure la percentuale di bigotti – da noi si chiamano così gli ipocriti in materia religiosa, mentre in tutti gli altri campi chi vuole significare il contrario di quanto afferma fa della semplice “ironia” – è davvero così alta?
Le nostre comunità ci appaiono davvero invecchiate, stando alla media delle risposte fornite alla domanda “qual è l’età media nel suo Paese”. Nemmeno in un caso il dato reale è azzeccato, e soprattutto non c’è sottostima, ma solo sovrastima, in qualche caso smisurata (+25% in Brasile).
Anche riguardo all’obesità dilagante nell’Occidente la conoscenza diffusa non fa proprio un figurone: la maggior parte degli intervistati, nella maggioranza dei Paesi, sottostima il problema.
Gli immigrati evidentemente fanno paura: in quasi tutti i Paesi la quota di stranieri sul totale della popolazione è considerata enormemente più alta della realtà, soprattutto nell’America Latina, dove la quasi totalità della popolazione discende non dagli indigeni, ma da immigrati europei o africani.
In tutti i casi la parola chiave, in termini statistici e per quel che ci interessa di visualizzazione dei dati, è distribuzione: distribuzione sull’asse della ricchezza, della salute, dell’indice di massa corporea e via dicendo.
Al termine del quiz il sito propone una comparazione tra la propria risposta, la media delle risposte nella propria comunità e negli altri Paesi: un buon riassunto della propria ignoranza.
Nelle slides è possibile visualizzare la distribuzione delle risposte per Paese in merito a ogni domanda, e anche qui emergono chiare tendenze regionali.
A margine di tanti dati sbalorditivi, una curiosità: per leggere i grafici a dispersione (usati spesso in ambito scientifico, dove una delle due variabili è sotto il controllo dello sperimentatore che studia la distribuzione dell’altra al variare della prima) e impratichirsi con essi esiste persino un gioco.
In Guessthecorrelation si prova a indovinare il grado di correlazione tra le due variabili, che vanno da 0 (nessuna correlazione) a 1 (corrispondenza biunivoca), contando sul fatto che se si riesce a tenere il margine di errore entro il 10% si guadagna “una vita”, se l’errore è maggiore si perde una vita.
Abbiamo visto come il margine di errore nel sondaggio Ipsos sia normalmente alto, tanto da pregiudicare sostanzialmente la tenuta di una comunità sulla base della sua conoscenza di sé, ovvero sulla bontà della propria pubblica opinione. Ebbene per l’Italia il dato medio di discrepanza tra risposte fornite e realtà è del 15,5%: ciò significa che la partita italiana a Guessthecorrelation durerebbe pochissimo.