30 maggio 2016
Se ne parla molto in questi giorni e c’è stata una esaustiva trasmissione di Report di Milena Gabbanelli (Rai 3) con un servizio di Sabrina Giannini che ha per caso lo stesso cognome del nostro autore (Jung e la Sincronicità ringraziano). Vi riproponiamo l’articolo di Marco Giannini del 26 febbraio 2016. La sua analisi di Data Journalism aveva anticipato questa discussione. C’è troppo allarmismo? Qui qualche parere che sostiene questa tesi. In ogni modo è fondamentale essere informati su questi argomenti e anche la discussione aperta sugli allevamenti intensivi (dove finisce il 70% degli antibiotici prodotti nel mondo) è spunto di riflessione sulla direzione che la nostra civiltà sta prendendo. (ps)
Marco Giannini
AR è un acronimo e significa (in inglese) “resistente agli antibiotici”; è usato nel linguaggio settoriale della medicina, per esempio nella formula MRSA (staphylococcus aureus resistente alla meticillina) per segnalare casi purtroppo comuni di antibiotici che non funzionano più, perché il batterio che ne dovrebbe costituire il bersaglio si è evoluto e la sua intera popolazione ne ignora la presenza (propriamente: resistenza), oppure perché sopravvive nonostante l’arresto della crescita (tolleranza) o ancora perché una piccola parte sopravvive indipendentemente dal meccanismo d’azione dell’antibiotico utilizzato (persistenza) .
Lo stafilococco aureo è tra le popolazioni microbiche più diffuse, di solito nel corpo umano alberga soprattutto nei seni nasali. Si stima che oltre un terzo degli esseri umani ne ospiti una piccola “comunità”. Di solito è innocuo, può causare riniti, faringiti e simili scocciature, ma il problema diventa serio e talvolta drammatico se il batterio si presenta nel suo ceppo resistente agli antibiotici, e si installa negli organi interni.
Eravamo stati avvisati
La meticillina è ormai in disuso, e un’infezione da MRSA oggi si cura con altri farmaci (meno efficaci di quanto lo fosse un tempo la meticillina), ma ciò non toglie che l’emergenza di microorganismi resistenti agli antibiotici sia ormai un problema di rilevanza mondiale, pur non coinvolgendo in eguale misura tutte le specie batteriche e le classi di agenti antimicrobici.
E non si tratta di un problema nuovo: quando accettò il premio Nobel per la Medicina nel 1945 per la scoperta della penicillina, Alexander Fleming disse che prima o poi sarebbe successo. La diffusione su grande scala degli antibiotici ha costituito una grande vittoria della scienza medica, e ha contribuito in maniera determinante all’aumento della popolazione mondiale, ma “l’età dell’oro degli antibiotici” sta finendo, dicono alcuni.
L’aumento dei casi in Occidente
La resistenza agli antibiotici è un problema allarmante, perché vanno diffondendosi malati resistenti a quasi tutti gli antibiotici e questo significa non avere più strumenti per curarli. Soprattutto nei Paesi più ricchi e avanzati, dove l’uso di antibiotici è massiccio.
Una recente ricerca dell’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) stima in 4 milioni all’anno in Europa e oltre 2 milioni all’anno negli Stati Uniti le infezioni da antibiotico-resistenza. I decessi dovuti a mancanze di cure possibili sono rispettivamente 37.000 e 23.000 in media (dati Ecdc e Cdc).
In Italia l’Istituto Superiore di Sanità parla di grandi cifre, soprattutto in relazioni ai ricoveri ospedalieri, cioè nelle situazioni in cui si contraggono più facilmente infezioni: quelle correlate all’assistenza ospedaliera colpiscono ogni anno 285.000 pazienti (circa l’8,5% dei ricoverati), causando dai 4.550 ai 7.000 decessi. Tra le più comuni infezioni, la polmonite (24%) e le infezioni del tratto urinario (21%).
Le ricerche dell’Oms
Proprio sulle ricerche dell’OMS si basa una visualizzazione interattiva della Ong britannica Nesta, che mostra come in Europa il problema sia esplosivo, e in rapido aumento:
Le sei classi di antibiotici considerate sono quelle contro le quali negli ultimi decenni è stata scoperta una popolazione batterica resistente. Come evidenzia il grafico, i puntini bianchi in corrispondenza dei vari Paesi Ue (resistenza in crescita) sono in numero maggiore rispetto ai puntini neri (resistenza in decrescita).
Per alcune classi di microrganismi le percentuali di resistenza superano ormai il 50%. Secondo Information is Beautiful sono quei settori in cui la ricerca farmaceutica si concentrerà necessariamente nei prossimi anni, in cerca di vaccini.
Il ruolo della ricerca farmaceutica
Ma quel che era chiaro ai ricercatori già sessanta anni fa non è dovuto unicamente alla capacità di adattamento delle più pericolose specie di microbi. Se in effetti si rilegge la storia novecentesca dei progressi medici, la diffusione di specie antibiotico-resistenti ha una causa specifica nel comportamento umano, in particolare nell’abuso di cure antibiotiche e nella direzione impressa alla ricerca stessa.
Come ci fa osservare un dossier di Quartz, l’emergenza di microrganismi resistenti è stata registrata in certi casi appena qualche anno dopo l’introduzione di nuovi antibiotici, e contemporaneamente le nuove famiglie di farmaci inserite sul mercato dopo gli anni 70 sono pochissime, perché le grandi case farmaceutiche tendono a spingere la ricerca nel campo di cura delle malattie croniche, per le quali sono necessarie medicine che si prendono lungo tutto l’arco di vita, piuttosto che in settori meno redditizi come le infezioni, che possono essere debellate definitivamente in pochi giorni e con poche applicazioni. Gli antibiotici oggi in commercio sono quasi tutti derivati da farmaci precedenti, e non nuovi farmaci messi a punto per combattere le famiglie di microrganismi antibiotico-resistenti.
Infine i medici di base e i pediatri prescrivono spesso un antibiotico anche contro infezioni che poi si dimostrano di origine virale (come i banali raffreddori) e contro le quali l’antibiotico è inutile. In tal caso il farmaco può addirittura risultare dannoso, perché può indurre una certa resistenza in una popolazione batterica ospitata dall’organismo, fino a quel momento completamente innocua.
Darwinismo farmaceutico?
Insomma in campo medico la storia non si ferma mai. Che cosa muterà più velocemente? I microbi o la nostra capacità di arginarli? Una sorta di corsa evolutiva (si badi bene: indotta dalla scienza) è dunque partita tra natura e uomo, e sicuramente le vittime non mancheranno. Come si vede, anche in campo di adattamento abbiamo molto da imparare dalla Natura. Soprattutto quando cerchiamo di impartirle una lezione.