La vita è un segno.

Luigi Toiati

Se chi legge ha meno di 50 anni una piccola fortuna ce l’ha: quella di guardarsi intorno e riuscire ancora a trovare qualche maestro. Chi ha superato quest’età invece, vede passare a miglior vita uno dopo l’altro i propri maestri, ahimè, ma anche gli attori del cuore, i musicisti, i poeti.

Così è successo a me con la morte di Umberto Eco. È stato per me un maestro non perché anch’io faccio il suo mestiere, ma perché i suoi insegnamenti spaziavano orizzonti ben al di là della semiotica: Eco infatti univa disinvoltura ad erudizione, saggezza a scapigliatura, puntualità meticolosa a pungolo beffardo.

È stato un segno, lui che studiava i segni: il segno dell’ultimo genio, inteso nell’aura dell’onnicomprensività rinascimentale, in quell’odore leonardesco di sapienza vera, che fondeva in un unico blocco discipline e conoscenze disparate.

Non il Signor-So-Tutto dei tristi talk show televisivi, ma chi vive per la cultura così profondamente da diventar cultura egli stesso.

Ho sentito tanti, troppi, commenti, e so di mancare anch’io di rispetto al Maestro per aggiungere vane parole a vane altre. Peggio che mai di farlo usando un vettore mediatico che Eco sembrava non amare troppo, allorchè diceva che i social media sono lo spazio dedicato agli imbecilli.

(Qui sotto il video integrale dell’incontro con i giornalisti dopo il conferimento della Laurea Honoris Causa in Comunicazione e Cultura dei Media dell’Università degli studi di Torino-11 giugno 2015)

 

Ma tant’è: ho preso dai miei maestri l’abitudine non già di “partecipare” – una pratica che per me rientra nell’opinione di Eco che riferivo prima – ma di discettare in modo inconsueto. O almeno, provarci. Spesso si adora solo un pezzo di qualcuno, non necessariamente la sua interezza: diciamocelo, questo è successo un po’ a tutti con Eco. C’è chi sostiene che ne adorava i romanzi, ma non amava il suo “protagonismo”. E chi lo sostiene è un uomo d’onore. C’è chi sostiene che lo stimava come studioso, ma ne rinnegava gli aspetti di letteratura romanzesca. E chi lo sostiene è un uomo d’onore. C’è chi sostiene che era tutta una montatura, non era vero niente. E chi lo sostiene è un uomo d’onore.

L’orto della cultura.

Per me, Eco era uno che se ne fregava di tutto questo, e lo faceva signorilmente e professionalmente: io coltivo il mio orto, questi sono i prodotti, che tu li consumi o meno non è affar mio. Ma se ti piacciono allora ne possiamo parlare. Non li capisci? Problema tuo. Si preoccupava della maieutica, non del consenso, semmai dell’apprezzamento, foss’anche critico. Questa almeno è la mia modesta opinione.

La sua caratteristica era di unire la glossa alla koinè, ossia l’interpretazione di concetti e parole difficili alla struttura del linguaggio quotidiano; e l’erudizione all’ ironìa – a chi mai sarebbe saltato in mente di scrivere un saggio su Mike Bongiorno?

Umberto Eco

Semiotica o Semantica?

Per fare un po’ di luce, infine, sui confusi accenni degli scorsi giorni alla sua professione (ufficiale), Eco era un “semiotico”.

La Semiotica è la disciplina che studia i sistemi di segni e le loro organizzazioni comunicative. O bella, e che è un segno? Un segno è qualcosa che rappresenta qualcos’altro: un piccione in chiesa è un intruso, mentre se è dipinto sull’altare è lo spirito santo.

Roland Barthes diceva che una spiaggia non è un segno, ma è piena di segni, ombrelloni, bikini, sdraio. La loro organizzazione è il campo della semiotica: rare sdraio all’ombra dei palmizi sono un segno che esprime lusso; mentre invece centinaia di ombrelloni, bambini che rincorrono palloni, e madri starnazzanti sono…un fulgido esempio della cultura occidentale. Semiotica è una parola di conio relativamente recente, creata in ambito anglosassone.

Quando si parla di Semantica, invece, ci si sta riferendo ad una disciplina che studia il significato delle parole, quindi qualcosa più legato ad un ambito linguistico.

Semiologia – è stata usata anche questa parola nei giorni passati – è infine la scienza dei segni linguistici e no. Ad esser pignoli, è una sfumata versione della semiotica, più disciplinare e meno operativa.

A corollario, vi ci infilo anche “Semasiologìa”, l’interessantissimo “studio” -per il dizionario- “del mutamento di significato di ogni parola”.

A mia dannazione, se Eco leggesse queste righe mi biasimerebbe, perché ho cercato di codificare le nuvole, di squadrare l’impalpabile, di mettere in riga l’anarchìa. Ma fa parte dei rischi di fare il semiotico.

 

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