Paolo Samarelli
Si scrive Cruijff, Cruijff Hendrik Johannes. All’anagrafe di Amsterdam il 25 aprile 1947 scrivevano così. Ne abbiamo viste tante di grafie che almeno ora che non c’è più vogliamo mettere un punto. Se ti volti indietro vedi Cruijff e il nostro passato conteneva già il futuro che stiamo vivendo.
Fumava Johan e si fumava come matti anche negli anni ’70 e non solo sigarette. Ora forse il fumo gli ha presentato il conto e lui forse sapeva che prima o poi sarebbe successo. Sui campi sterrati di quegli anni c’era sempre qualcuno che cercava di imitarlo. Il turn Cruijff era una finta micidiale tanto semplice quanto facile da sbagliare. E si sbagliava quasi sempre. Anche sui quei campi c’erano parecchi capelli lunghi e a quei tempi erano un’etichetta anche politica. Poi ci si fumava una sigaretta tra un tempo e l’altro e alla fine ci si sedeva sotto la doccia con un peroncino. Ma Cruijff era sempre con noi. Il terzino che ti falciava alla prima palla giocata era la dimostrazione che bisognava fare come l’olandese: volare. Sugli spalti dei campetti dei paesi o delle periferie cittadine c’era sempre un po’ di pubblico. Da dietro le reti di recinzione se avevi i capelli lunghi ed eri un po’ secco c’era sempre qualcuno che ti diceva: “ma che voi fa’ Cruijff?”. Quando andava bene.
Il turn Cruijff.
Poi ogni tanto prima in bianco e nero poi a colori vedevi in tv quel fringuello che sembrava velocissimo “Iniziavo a correre un istante prima-diceva- per questo sembravo più veloce”.
Se vedevi l’Ajax più che il detersivo veniva in mente Aiace Telamonio e l’Iliade. Il gioco totale dei bianchi col fascione rosso verticale era meglio di un film di 007. Ognuno che indicava al compagno dove andare, dove sarebbe andato. Per chi giocava, magari a infimi livelli, era un esempio e lo sarebbe stato per anni e fino a noi. Il tiki taka del Barcellona (per la verità più noioso) arriva da lì (Cruijff c’entra parecchio) e anche Arrigo Sacchi diede spettacolo col calcio totale a Usa’ 94 con la nostra Nazionale.
L’Olanda e il leone nero su sfondo arancione non erano solo il calcio. Erano, come Londra e l’inghilterra, il mito di una generazione, perlomeno una parte. Folk e Rock, sregolatezza e imprevedibilità però successo, risultati e quel poco di sfortuna che piaceva tanto alle ragazze.
Finali meritate e perse con le squadre di casa. Questo fu il destino di quella squadra che vinse meno di quel che avrebbe dovuto. Poi dici il calcio metafora di vita.
Johan Cruijff se ti volti indietro sembra di averlo conosciuto davvero. Frammenti di immagini. Quegli stadi pieni e scuri e col colore l’arancio dei tulipani che si muoveva a tempo come un ballo sincronizzato. Tutto sembrava semplice e non lo era. Si cercava la semplicità. Anni ’70. Agli inizi c’era ancora la guerra in Vietnam, si era usciti dal 1968 un po’ rincoglioniti e come dice Edmondo Berselli (Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del Sessantotto, 2007) qualcuno si era impadronito dei sogni e la metteva giù in politica. I pantaloni lunghi erano a campana e quelli corti erano cortissimi, in campo si picchiava duro anche allora nelle categorie minori.
Si può dire che si picchiava però con eleganza e leggerezza? Forse è solo un’impressione e i ricordi addolciscono i particolari. La leggerezza e l’eleganza però sembrava viaggiare nelle teste e nei piedi di Cruijff con colonne sonore di Bob Marley & the Wailers assieme alle ballate di Bob Dylan. Johan era il direttore d’orchestra (sarà allenatore) e pure il solista e a volte ti veniva accanto quando ti sedevi col ghiaccio sul ginocchio in panchina e già pensavi alla prossima partita.
Qui ne parla Gianni Mura di Repubblica e sotto un filmato delle sue gesta in campo.
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