Il pesce e gli antenati.

Ristorante “Il Porticciolo” , Via Augusto Riboty 20/C, Roma- zona Prati-Delle Vittorie

Telefoni: 06.39735098  |  349.7565101  |  331.8568847  |  334.7847939

Visitato da Luigi e Monica e due amici il 18-3-2016.

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Lo confesso: detesto il pesce. Primo, perché non mi piace, ma per motivi di dieta terapeutica sono obbligato ad un sacrificio gastronomico del quale farei volentieri a meno almeno un paio di volte a settimana. Secondo, perché otto generazioni di romani alle mie spalle si ribellano a questa moda del pesce che ha invaso Roma: sono terrorizzato a venir invitato a cena da qualcuno, che puntualmente mi proporrà pesce al ristorante o pesce a casa sua. Noi romani escludiamo storicamente il pesce dai nostri ricettari, o meglio lo abbiamo fatto per quasi duemila anni. Chiuso con il ricettario di Apicio, chiuso con la caduta dell’Impero. I Romani, per secoli, come ricorda Giuseppe Gioacchino Belli, sono stati “curtivati a pesce de frittura”, o a baccalà che, in sintonìa con i portoghesi, non riteniamo “pesce”, ma, appunto, baccalà.

Dunque quando colei che solo a me par donna mi ha proposto di andare a cena in un ristorante genericamente “aperto da un nostro conoscente” mi è preso lo scoramento, ma poiché amor omnia vincit ho fatto buon viso a cattivo gioco.

Tutto ha avuto origine, tramanda la vulgata, dalla pescheria insediata in Via Riboty, vicino Piazza degli Strozzi. Seguendo un’idea corrente di “sinergìa” di attività, come direbbero i markettingari, è stato annesso a latere un piccolo ristorantino che cucina –come proseguirebbero a dire i suddetti- a chilometro zero, anzi a metro zero, i pesci ivi venduti. Se ho capito bene, i soci sono Tiziano, il nostro conoscente, Roberto, che era in sala, e poi non so.

Posto carino nella sua spartana semplicità, servizio cortese, affabile, efficiente. Ma la sorpresa è che…ho mangiato con gusto!

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Il menù è variato, offre più scelte, le porzioni sono generose. L’inventiva c’è, ma non straborda in proposte deliranti, bensì è sapientemente adattata a materie prime che, a detta dei miei commensali -che al mio contrario sono inveterati apprezzatori dei sudditi del Dio Nettuno– sono freschissime. I prezzi sono contenuti, la lista dei vini breve, ma con etichette minori che non hanno nulla da invidiare a prodotti più apprezzati: un buon friulano (per i miei coetanei: tokai) ha innaffiato la nostra tavola ed è tornato una seconda volta.

Abbiamo, pardon, hanno ordinato antipasti freddi, aspettando i quali sono arrivate proposte calde, gli “antipasti della casa di 5 portate”, come polpettine di pesce, baccalà e patate, insalata tiepida di mare, e altro. Io mi sono regalato un sontuoso e croccante filettone di baccalà filogeneticamente e romanamente corretto nell’amalgama della pastella e nel punto di frittura.

Gli antipasti freddi, che hanno senz’altro alzato il prezzo finale, mi è stato riferito che valessero la pena. E Bruto è uomo d’onore.

L’aspetto era imperiale, abbondante, disposto con eleganza, ricco e variato, con ostriche annesse.

Pasta assai buona: per me spaghetti –il cuoco ha ottemperato i miei desiderata di averli cotti al “filo di ferro”- al nero di seppia, per gli altri ospiti tagliolini gamberi e pachino e una maestosa zuppa di ceci e baccalà, dalla quale ho attinto con goduria licenziose cucchiaiate. Tutto magistralmente dosato, e generosamente disposto.

A seguire ho condiviso una frittura mista (al mio amico la paranza, a me i calamari) a) fresca, b) leggera, c) ricca e variata.

Per concludere, sorbetto al limone. Quasi scusandosi del conto non indifferente, Roberto che, per chi che come me ama il dialetto romanesco e l’arguzia di chi lo parla, è stato un bagno di diletto dialettico, ci ha fatto uno sconto del 10% e ci ha offerto un’ ottima panna cotta ai frutti di bosco fatta in casa. Dopodichè voleva farla seguire da un altro dessert, ma l’altra metà del cielo in tavola ha opposto un fermo diniego.

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Abbiamo speso circa 100 euro a coppia, ma nutrendoci come Falstaff o Trimalcione. Mia moglie a casa ipotizza, per una cena più a misura d’uomo, circa 60/70 euro a coppia, decisamente a favore dell’offerta ricevuta.Neanche a farlo apposta, fuori, sottofondo di una serata romana, scorreva la processione del Venerdì santo, ultimo tra i segni romani che vanno scomparendo. Ma speriamo che questa buona cucina resti. Di una cosa sono sicuro: se i miei antenati fossero stati a cena con me avrebbero apprezzato. Anche se era pesce.

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