Paolo Samarelli
Mentre il merlo col capo maculato vola tra la palma e il pino nel grande cortile alberato un rombo assordante ferma il tempo. Le frecce tricolori sono appena passate in volo compatto nel cielo del due giugno. Due o tre secondi. Il rombo si allontana. Il merlo che era restato immobile riprende il suo volo tra gli alberi. È la Festa della Repubblica: 70 anni sia per riflettere su come eravamo e come siamo sia su quel che poteva essere e non è stato. Anche su quel che era impensabile e si è realizzato.
Chissà quanti avranno almeno dedicato all’anniversario un istante di riflessione simile a quel momento sospeso creato dal passaggio dei jet della pattuglia acrobatica. In quell’istante il grande cortile è stato un’altra cosa come per un istante diventa “altro” il paesaggio tranquillo quando da una galleria irrompe un treno e in pochi attimi scompare e l’atmosfera si ricompone nel silenzio; citando Ruggero Pierantoni e il suo libro “Forma fluens” (1986)
Voto a vincere.
Oggi a due giorni di distanza dalla celebrazione si vota per le amministrative che a loro modo nel depresso panorama politico italiano sono come il passaggio tuonante della pattuglia acrobatica. Si vota in maniera diretta, in 1342 comuni per decidere chi amministrerà per i prossimi cinque anni le nostre città. Sono forse le elezioni più significative per i cittadini. Qualcosa di simile a una decisione presa in famiglia per il bene comune (se sopravvive il concetto). Si vota, senza intermediazioni, il candidato che più si avvicina alla persona che vorremmo tenesse in piedi le nostre speranze di sicurezza, manutenzione del bene pubblico, di mobilità, di cultura e di promozione delle nostre attività sul territorio. E chissà quante altre cose (il lavoro tra queste e soprattutto ai giovani) forse irrealizzabili anche a lungo termine. L’astensione dal voto negli ultimi anni è stata rilevante. Si vota sempre di meno con percentuali tra il 50 e il 60%. La ricerca del consenso degli indecisi è il principale problema dei partiti e dei candidati che hanno espresso. E anche, di sponda, il cruccio dei sondaggi e dei sondaggisti.
Dalla Speranza all’indifferenza.
L’indifferenza del 2016 ha preso il posto della speranza del 1946 nel modo di comportarsi degli italiani (così conclude Giorgio dell’Arti il suo AltriMondi sulla Gazzetta dello Sport del 3 Giugno). Crisi della Politica come tutto il resto. Si allontanano dalla Politica i vecchi, che pure sono la maggioranza nel nostro Paese, e i giovani che non ritrovano in quel luogo nessuna delle soluzioni alle quali avrebbero diritto (disoccupazione giovanile al 36,9%). Il pubblico elettorale per quanto ridotto sembra quello over 40 o forse anche over 50. L’infosfera si è spostata dai giornali di carta o online e dalla tv ai social network e qualche rischio a voler essere cauti c’è ma è in ogni caso il futuro che si è già realizzato. La similitudine tra indifferenza alla politica e lettura tradizionale (inclusa tv) è stretto.
Le citta invivibili.
Nelle nostre città spesso invivibili sembra crescere la convinzione che il male è sempre tutto esterno, fuori di noi: le buche sulla strada come gli immigrati, la scarsa illuminazione e l’apocalisse dei rifiuti. Certo aiuta a farsi questa convinzione il dilagare di scandali nelle nostre amministrazioni, uno per tutti: quello denominato “Mafia capitale”. Tuttavia anche i cittadini non sembrano collaborare ripiegati su se stessi, i più convinti che la causa della crisi e del malcostume è sempre solo esterna. Farsi sempre salvi nei propri comportamenti senza interrogarsi su quel poco e piccolo che si può fare è davvero distante da quell’Italia del 1946 che si è appena celebrata. Tutto ciò ovviamente con delle positive eccezioni.
Hic Rodus hic salta.
Invece più che alle elezioni amministrative l’attenzione è dirottata sul referendum costituzionale di ottobre. Una data a oggi distante che prevede argomenti che chiedono una riflessione sulle domande. Calcoli politici, la volpe e l’uva? Non si sa e non ci deve interessare.
Il clima è da “dentro o fuori” e il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi (sostenuto dai suoi fedelissimi) ha investito sulla sua proposta (il Sì al cambiamento) il suo stesso permanere in politica. Frasi come “se perdiamo si va a casa” (curiosità su cosa farà in questo eventuale “dopo”) suonano inadeguate e non sempre dalle parti in conflitto le argomentazioni sono lucide come merita un quesito referendario di grande rilevanza e che include anche la delicata riforma del sistema elettorale. Non si trattano argomenti di tale portata come una finale di Champions League e qui ci sarebbe da commentare il lessico calcistico sempre più usato dai politici. Un’altra volta.
Meglio un sindaco oggi che un referendum domani.
Infine la situazione è questa: c’è una tornata amministrativa oggi e ci sarà un referendum costituzionale dopodomani. Due situazioni molto differenti unite solo dal fatto che i cittadini andranno a votare in una cabina elettorale. Sembra che l’elezione dei sindaci sia un episodio minore rispetto all’alto profilo della riforma costituzionale. Non è così e i 13 milioni chiamati al voto farebbero bene a prendere una decisione. Il futuro è proprio adesso ed è misurabile: cinque anni, se tutto va bene.
Qui sull’encomiabile “il Post” una guida alle amministrative.