Luigi Toiati
Reading, che mamma ha fatto i gnokking.
“Il governo ha messo una toppa alla sua cabina di regìa, proponendo un discorso altro come mission finale alternativa all’altrimenti me ne vado della ministra. Tra l’essere sull’orlo di una crisi di nervi e un mal di pancia di viale dell’astronomia, via XX settembre, come in un film già visto, concerta un discorso trasversale sulla pocket money, anticipato e forwardato con ampio consenso trasversale. Forse uno specchio di Narciso che ricolloca percorsi di ripensamento glocal, forse con unanime cordoglio un last stand del ripensamento ultimo. I social additano il Grande Fratello dei semi come guilty, ma la Presidenza del Consiglio dei ministri rilancia in dribbling con parata di testa uno school bonus proprio il giorno del fertility day. Certo, un film già visto con un reading che demonizza la policy mission del populismo, e tocca le corde altre sia della sindaca che dei suoi mentori Gianni e Pinocchio: come dice Giovanni Leopardi: “il training non finiscono mai”. Di tutto di più, e quant’altro. Se ci sarebbe spazio“.
Sì, vabbè, forse ho calcato la mano, ma tutto sommato non è che poi vi sbigottireste molto alla lettura di questo stupidario sul vostro quotidiano preferito, né ascoltandolo alla radio o alla televisione. Perché? Perché, a mio modestissimo parere, ci è stato propinato un veleno con il nettare della democrazia, e ancora non se ne conosce l’antidoto. La partecipazione, nel suo evolversi e declinarsi quotidianamente come parere, adesione o dissenso, implica infatti, a ben pensarci, assuefazione: sono talmente assuefatto ad esprimermi su tutto che perdo il filo del ragionamento. La guerra, l’utero in affitto, l’emigrazione sì emigrazione no, il ricollocamento del surplus, la transumanazione e transustanziazione: devo partecipare! Meglio ancora, già che ci sono, sparando qualche twitter a raffica “in tempo reale”. Così mi rileggo e dimostro alla morosa che “a squola ci ho stato ank’io”.
Qual è l’uovo e quale la gallina?
Ma che fatica! Dove lo trovo il tempo di pensare, soffermarmi, prender tempo e ragionare, analizzare, esprimere un parere che sia davvero mio e solo mio? Allora, così come non preparo più il minestrone perché ci vuole troppo tempo e in fondo quello surgelato va benissimo, alla fine perché devo faticare ad avere un’idea quando basta condividere quella degli altri, e magari farla propria? E, una volta fattolo, voilà, ho partecipato anch’io! Perché l’importante è partecipare, socializzare, rileggersi, magari guardarsi in video. I contenuti, bah, che me ne faccio? E così, ibridata la mente, ad ibridare la lingua ci vuol poco. A quello ci pensano politici e giornalisti. Che poi, atteso che resta incerto quale sia l’uovo e quale la gallina, se la mente o la lingua, e quindi quale sia la prima a essere stata ibridata tra le due, questo “neolinguismo partecipativo-interattivo” è così comodo! Basta appiccicare insieme qualche anglicismo, magari con un po’ di pidgin italian, ricorrere (inconsapevolmente, troppa grazia!) a metafore, metonimie, iperboli e allegorie, e infilarci un paio di voletti pindarici – non più alti di livello di quelli dell’aereoporto dell’Urbe -, con un pizzico di sboccata disinvoltura, e una manciata abbondante di prosopopea, stile “so’ ignorante e me ne vanto”, e il gioco è fatto. Che straordinaria “corrispondenza d’amorosi sensi” tra linguaggio giornalistico, linguaggio comune… e linguaggio “altro” (su google 2.060.000 alla ricerca linguaggio altro).
Che poi questo “altro” mi ossessiona. Ma “altro” da che? Il vecchio “altro da sé” della psicanalisi, l’”altro uomo” di Hitchock, o il romanesco “antro è parla’ de morte antro è mori’”? Chiedo venia per l’ignoranza, ma siamo tanto sicuri che dire il pincopallo “altro” o “l’altro pincopallo” esibisca cotal grandi differenze? In questo termine “altro” io vedo lo specchio di Borges, “peccaminoso” perché “come il coito riproduce l’umanità”. “Altro” è ormai un catalogo infinito autofagocitante, come il mostro proboscidato del film animato “Yellow Submarine” che dopo aver aspirato ogni cosa d’intorno, vede la propria coda agitarsi, la risucchia e scompare. Quando avremo finito di catalogare e declinare la moltitudine di “altro” che più ci aggrada, l’altro-altro finirà con l’auto-dissolversi. “Altro” è negazione assertiva, è il Buco Nero, massa non-massa, il molteplice e l’indistinto, un caleidoscopio fatto solo di grigio su grigio. Il pianeta “Altro” ha anch’esso i suoi antipodi, come li descriveva Eco, con gente a testa in giù. Su di un emisfero c’è il mito dell’altro-da-me come esaltazione: l’apoteosi del “diverso”, l’ammiccare al “(vorrei) la pelle nera” di Nino Ferrer (1967), primigenio eroe del culto del “Benvenuto”, il cancellare ogni precedente traccia di identità individuali, nazionali, culturali, l’abdicare ad opinioni in favore di consensi. Sull’altra faccia, perfettamente agli antipodi, totalmente in ombra, e dove le persone camminano a testa in giù, sta l’altro-da-me come negazione, paura, avversione: qui vive nascosto il ragioniere monogamo e cattolico, padre di figli eterosessuali che non fumano e non bevono, ma giocano al calcetto balilla, in possesso di un solo televisore e unica automobile, casa in affitto in città e di famiglia in campagna, privo di rate e mutui, affezionato alle fettuccine al ragù e al polpettone con le patate, che passa le vacanze non più in là della Lombardia o della Sicilia. Costui è “altro”, fortemente avversato, novello Adamo bandito dall’ Eden del partecipazionismo.
Allontanarsi è propizio, ma traversare la Grande Acqua senza ciambella no: suona un po’ come l’ I – Ching, lo so. Potrei usare l’espressione trita “stiamo buttando l’acqua con tutto…” eccetera, ma preferisco dire che a forza di perdere contatto con il linguaggio, e con i miti sottesi ad esso, elaborati da secoli di culture locali, perderemo inevitabilmente noi stessi. Non è così importante “partecipare”, quanto (cercare di) rendersi consapevoli di quale sia il gioco. E se si sta giocando a poker o zecchinetta.
Esempio finale.
Questo invece è tutto vero. Titolo: catwalk in the street. Sommario: le calzature flat danno un twist di tendenza all’outfit più classico. Il segreto? Scegliere quelle veramente fashion. Articolo apparso su più riviste femminili per una nota marca di calzature (ottobre 2016).
Meno male che siamo nella settimana (17-23 ottobre) della Lingua Italiana (XVI edizione), evento di promozione dell’italiano nel Mondo, l’italiano grande lingua di cultura classica e contemporanea organizzata dal Ministero degli Esteri in collaborazione con l’Accademia della Crusca. Qui il neonato portale della Lingua italiana, la quarta più studiata nel Mondo dopo inglese, spagnolo e cinese.