LINGUAGGIO DI GENERE.
Luigi Toiati
L’eterno femminino e la dialettica da supermercato.
Scriveva Goethe nel Faust: “l’eterno femminino (Ewigweibliche) ci attira in alto accanto a sé”, indicando con “ewig” la potenza della donna che attira verso il cielo. Filosoficamente e simbolicamente, la donna è quindi una figura a-temporale e a-spaziale deputata alla rigenerazione o palingenesi (rinascita interiore: palin, di nuovo; genesi, generazione) degli esseri umani.
Ma il processo di rinascita necessariamente segue quello di estinzione, quindi il femminile è anche psicopompo, o “conduttore di anime”, perché appunto accompagna l’anima verso la sua ri-generazione. In questa accezione la donna, nella sua doppia veste di “madre” e “morte”, “traghetta” quindi l’anima per rigenerarla. Un aforisma (apò + horìzō= definizione) taoista recita: “L’essere prende vita dal non-essere”. Questo scorrere dell’essere e del non-essere è perenne, nel bel senso etimologico latino che gli dava la mia professoressa di latino e greco di “per-amnios” dalla radice “emn” scorrere: lo scorrere dell’acqua – e insieme del liquido amniotico – come scorrere di vita. Perenne femminino, dunque “ewig”, eterno femminino.
Ringrazio Maurizio Barracano del quale ho saccheggiato e spero non mal interpretato un bel saggio apparso sull’Oracolo Internettiano.
Maschio: natura terrena, femmina: natura divina.
Femminino viene da “femmina” (femǐna a sua volta deriva da *fere, allattare, esser fecondo, vedi anche “feto”). Maschio deriverebbe invece da una radice ‘mas’ che indica la ferinità, con gran gioia delle femministe: ma il diminutivo “maschietto”, mi spiace per loro, in romanesco si declina anche al femminile: “maschietta”, in senso elogiativo di femmina risoluta; all’opposto il veneto vuole anche “màs’cia” per “maiala”.
Humus e Domina.
Se ce la fate ancora a seguirmi, vediamo invece “uomo” e “donna”. Il primo definisce senz’altro una natura terrena e terrestre, da “humus”, terra, contrapposta ad una natura divina, ultraterrena: in quest’ultima, abbiamo visto, è domiciliata anche la donna. “Donna” che, a sua volta, senza mezzi termini, deriva da “domina”, ossia “padrona”: felice forma, parallela al maschile “dominus”. Entrambi definiscono i “padroni di casa” (domus).
Uomo e donna, maschio e femmina, fanno parte di due cosche mafiose chiamate “sesso”, dal latino “sectare”, ossia “tagliare, dividere”.
Invece ahimè l’italiano (non solo esso, ma qui ci interessa l’italiano) invece di separare, ha unificato. Unificato al maschile, per convenzione – potere bieco maschilista? – un’intera struttura lessicale, afferente a princìpi generali quali: “umanità, umanizzato, umanesimo, umanitario, umanistico”, etc. La nostra lingua si cava d’impaccio più trasversalmente, guarda un po’, usando la discendenza greco-latina homòs= uguale, per “omosessuale, omofobo, omofono, omogeneizzato, omologato, omonimo”, etc., e quella piuttosto analoga di homeios per “omeopatia, omeostasi”, etc. La radice “omo-“ significa appunto una qualche “somiglianza” tra elementi.
Bell’inguacchio! Non poteva fare il contrario, che so io, dicendo “omanità, omanesimo, omanistico, omanizzato”?
Ci avrebbe risparmiato il polveroso pungolo del linguismo sessista, e il conseguente insorgere sia di dispute lessicali tra “sindaco o sindaca?”, sia l’emergere di un quantomeno opinabile neologismo quale “femminicidio”. Sarebbe stato detto, vivaddio, “omocidio”, e la cosa sarebbe finita lì: l’ammazzato era omo, uguale e paritetico. Forse a Roma qualcuno avrebbe obiettato che lì “omo” sempre “maschio” significa, ma ormai il romano lo parlano solo le macchiette televisive o i bulli cinematografici che pensano “faccia tanto” rozzo. Chi se ne accorgerebbe?
No, l’omicidio è maschile, il femminicidio femminile. Mettiamo i puntini sulle “i”.
Nato dal giusto voler ribadire l’uccisione della donna come crimine ancor più efferato perché domestico, reiterato e impunito, questo termine si è andato, a mio e non solo modestissimo giudizio, a sommare agli inutili neologismi di una lingua affaticata dagli stravizi dei distinguo “politicamente corretti”.
I morti perciò non sono tutti uguali, ci sono le donne morte e gli uomini morti.
Poi iniziano altri bisticci linguistici: nomi maschili che avrebbero un corrispettivo femminile, quali presidentessa, sindaca, avvocatessa et alia vengono rivendicati al maschile! “Il” Presidente Boldrini, “il” Sindaco Raggi, “l”’Avvocato Eulaia Torricelli da Forlì. Ci capite qualcosa? E come se la sbroglieranno con le concordanze? Paolo e Francesca si sono amati o amate, o dovrebbero essersi amat? Forse uno di questi giorni infatti, per unificare bisognerà inventare il “Neutrile”: lu Presidentu, lu Avvocatu, lu Sindacu …no, questo è abbruzzese: h Presid, h Avvocat, h Sindac? E i plurali, anzi, le plurale?
Linguaggi di settore.
Così, saremo un popolo poliglotta: ci sarà l’italiano dei libri, che non legge nessuno; l’italiano giornalistico e il televisivo, di diretta matrice neanderthaliana, e che non ha niente a che vedere con il primo; al giornalistico-televisivo continuerà ad ispirarsi il terzo, “h Ital politicam’ corrett”. I dialetti resteranno solo nei “reality”.
Lingua italiana e lingua comune, alla pari dell’America e Gran Bretagna per G.B. Shaw, sono a quanto pare “due paesi divisi da un linguaggio comune”.
Da una parte si separa l’unito dall’altra si unisce il separato. Alla faccia della filosofia e del taoismo.
Ho una domanda per le gentili Signore: l’uccisione della lingua italiana è un omicidio o un femminicidio?
- Maurizio Barracano, “Eterno femminino e philosophia perennis”, Internet
- Manlio Cortellazzo e Paolo Zolli, Dizionario etimologico delle lingua italiana, Zanichelli, 2010
- Giacomo Devoto, “Avviamento alla etimologìa italiana”, Arnoldo Mondadori Dizionari, 1999