Il cuoco, il fuoco, l’alchimia.

Luigi Toiati

Anarchiche armonìe, ovvero la bomba alchemica: Salvatore Tassa, le colline ciociare

Un doppio regalo di Natale: una cena offertaci da amici fraterni, e l’aver conosciuto Salvatore Tassa.

Non importa se il caso me lo farà rincontrare o meno. In quella cancellazione dello spazio-tempo dove abitano i ricordi continuerò ad incontrarlo, e quando sbiadirà il profumo e poi il sapore del cibo, la frase e poi la sua sostanza, il viso e poi l’arguzia dell’artefice, la traccia di tutto questo continuerà a risonare, come un’ultima vibrazione di diapason che è tutte le vibrazioni dei diapason, come l’unico tratto di pennello che è tutti gli infiniti tratti di pennello.

L’ambiente è di una eleganza misurata, soffice come i gialli divani della saletta-riposo, o le luci soffuse e i morbidi tovagliati; e insieme solida, come il tavolo di lavoro sbozzato dalla scure nell’atrio o le compatte mura costruite da Tassa padre. Una sala ampia e ariosa che si raccorda ad ambienti aperti e in sequenza, scanditi da larghi vetri che separano ma non celano, tavole apprestate con sobrietà quasi familiare, poltroncine che abbracciano… anche se forse a volte si preferirebbe star seduti un po’ più dritti, proprio come succede quando si va a conoscere i genitori della morosa. Accoglienza e servizio benevolenti e riguardosi, mi ricordano le delicate mani senza corpo che servivano al desco della Bella. Gentile esposizione dei piatti, non ostentata ma tangibile pertinenza delle caratteristiche dei vini in lista. Abbiamo scelto il menù “classico”, ma ce n’è anche uno con i suoi piatti più nuovi, più sperimentale, e un’interessante appendice/capitolo “cacciagione”. Il legame con la terra non è ostentato, ma nella natura stessa di Tassa: niente ipocrite lacrime sulla caccia, né esaltate declamazioni bucoliche, ma una solida base terragna sulla quale costruire fantasie celesti!

Come diceva il poeta Andrea Chenier, “costruire versi nuovi su rime antiche”.

In tavola ci danno il benvenuto grissini fatti in casa, una sfoglia di farina di polenta con semi, e una di grano duro stesa su verdure, che traspaiono in filigrana. Ma qui la filigrana è, simbolicamente a mio giudizio, la terra stessa, che si dichiara come matrice della cucina che stiamo per assaggiare. Si dà inizio alle danze con le entrées dello chef: una tepida spuma di porcini che quasi levita con grazia su una vellutata di zucca. E cominciamo davvero bene!

A seguire panini ai profumi di bosco ripieni di piccole meraviglie come cetriolo marinato e curry rosso, una cialdina di miso con ricotta e limone salato, indi poscia una piccola “bomba” (segno assai caro a Salvatore, come si vedrà) fritta, con cacio e pepe. Le accompagniamo con un calice di Chianti Villa Cafaggio 2013. Tutti meravigliosi divertissements di benvenuto simili a fuochi d’artificio orchestrati non dalla maestosità di un Haendel, ma dalla sagacia di un Maestro Zen.

Molteplice ma Uno.

Salvatore, che durante la serata ci ha dedicato un tempo prezioso e generoso, delineandoci con bonomìa i tratti del suo essere, ha una cultura eclettica e vasta, che attinge infatti anche alle discipline orientali, per questo mi permetto tale consonanza. Orbene, mi capitò anni or sono di descrivere assai indegnamente in una conferenza due essenziali caratteristiche dell’arte culinaria giapponese, racchiuse in due verbi, shimeru e shimesu. Il primo indica tanto l’essenza umida, quanto il restare compatto e insieme unito. Il secondo l’azione dell’inumidire e insieme il mettere in evidenza. Questo viene tradotto dal disporre cibi umidi e inumiditi – quelli asciutti, freddi, caldi, hanno altre declinazioni a loro volta – in modo spezzettato ma unito, particellizzato ma legato: in sintesi, in modo Molteplice ma Uno, vera essenza dello Zen. Credetemi, non voglio sfoggiare una cultura che sono ben lungi dall’avere, ma sento che questo in parte rispetta il Maestro Tassa. E sento che se avessi scritto “Mastro Tassa” non si sarebbe offeso. Raramente come in questo artefice infatti, come la sequenza di cibi appena descritta e quella a venire mi hanno segnalato, la presenza dell’Uno e del Molteplice è stata declinata non seguendo uno schema banalmente fattuale (scontate combinazioni di stampo orientale), ma bensì concettuale, ossia con un filo conduttore che consiste nella cancellazione e insieme nell’affermazione sia del voler creare un filo, che del condurre. La cucina di Mastro Tassa si accompagna infatti alla fantasia dichiaratamente anarchica – ma rigorosamente sapiente – del suo fattore, ma lascia che sia il gusto personale, risvegliato, a destreggiarsi nel caleidoscopio delle sue creazioni. L’anarchia di Salvatore è quella del sorriso che vi seppellirà, e insieme quella di un Proudhon che nega la proprietà, ma rivendica quella intellettuale e maieutica, e di un “bombarolo” i cui arnesi non sono di morte, ma di risveglio dall’ipnosi alimentare ormai condizionata dalle tante scialbe “cucine armoniche” che Carmelo Bene dileggiava.

La “bomba” di Salvatore, e quelle a sorpresa a venire, fanno esplodere i giochi di parole delle cucine onanistiche, e rivelano non che il Re sia nudo, quanto piuttosto che la nudità possa esser regale. I sapori sono negli ingredienti, poi nella loro combinazione, non vengono evocati da frasi, ma da presenze olfattive, tattili, gustative, combinate sinestesicamente.

Ma proseguiamo. A seguire Cipolla Fondente, ossia una cipolla fusa dentro se stessa, badate bene, non “implosa” né “aperta” come taluni mantra culinari ripetono ad libitum, ma lentamente “trasformata” dallo stato solido a quello liquido dalla mediazione alchemica del fuoco. I cannoli di polenta e ricotta con ketchup fatto in casa mi fanno pensare che Salvatore si sia divertito ad inventare un cannolo siculo in versione ciociara, dove la polenta mantiene la sua anima morbida pur nella vetrosità sapida della costruzione, la ricotta sembra ribadire lo schema, ma poi sbeffeggia impertinentemente il mangiatore addobbandosi con uno spiritoso ketchup domestico. Le fettuccine con pomodorini alla brace e baccello di vaniglia, il tutto mantecato di pecorino, credo siano arrivate sulle ali degli angeli: sapori distinti ed accordati in un insieme che ha del divino.

Ed ora “Ecce Agnus Dei”, mi si perdoni l’irriverenza, ma in realtà credo che con questo piatto Salvatore non abbia nulla a che fare, perché è stato preparato dal Padreterno stesso, in incognito. Morbido, succulento agnello, adagiato su un letto di purè profumato da paglia ed aghi di pino, con odorosi spinaci stufati che certamente Marylin avrebbe sostituiti al suo famoso pigiama preferito, Chanel n° 5. La riduzione, o se preferite intingolo, sughetto, salsina, e tutti i vezzeggiativi che si possono dedicare a questo manto vellutato che avrà sobbollito per ore, si direbbe direttamente distillata da un quantitativo di Ambrosia d’Olimpo che senz’altro Salvatore nasconde nei recessi della sua cantina.

Variazioni vegetariane e per chi ha intolleranze.

Abbiamo molto apprezzato anche la duttilità nel variare, ça va sans dire: per mia moglie, vegetariana, è stato apprestato l’uovo selvatico, che al di là dell’ironica parafrasi rousseauiana contiene deliziose radici; per l’amico che non predilige formaggi una insalatina all’impronta, dove la memoria mi cita tartufo; a tutti sono stati offerti tortelli fuori menù ripieni di cappone, con salsa bianca che non mi sovviene e tartufo, mentre per la signora sono arrivati ripieni di mela speziata: mi scuso per la riduttività imposta dalla memoria.

Vediamo ahimè il fondo, infine, di una fantastica botta di lusso e follìa costituita da una indimenticabile bottiglia di Château Gruaud La Rose del 2008: nessuno dei presenti è un fautore dei vini francesi, e tutti possiamo ritenere di avere una esperienza in merito sufficiente a suffragare tale posizione, ma ci ha coinvolto l’ardore della giovane competente sommeilleuse, e gliene siamo grati.

Il pre-dessert è una meringa ghiacciata al limone, con una base di melissa, limone candito e udite udite polvere di cappero tritato. E mi prendete in giro se ancora parlo di alchimia? Tutto è trasformato, l’orchestra lascia udire i singoli suoni, i ruoli degli elementi mutano. La solidità diventa polvere o crema, la liquidità si cristallizza, il semiumido pure. Il dolce “ufficiale” forse risulta un po’ meno pregnante, wafer alla cannella, caramello e gelato moka.

Ci ritiriamo nell’accogliente saletta riposo dai gialli e morbidi divani a ciaccolare e gustare un’ottima moka e un eccellente rum Demerara, offerto, di un’annata che corrisponde a tanti capelli fa, fumando ciascuno a proprio gusto. Qui è consentito, segno decretatorio del civile savoir vivre del nostro ospite.

Il conto non è demenziale, né l’intero accadimento monetizzabile.

La foglia fluttuante.

Salvatore ci mette a parte di un’immagine che adopera nei suoi corsi: far concentrare i giovani su una foglia, che prima fa parte del tutto, poi se ne distacca, senza che entrambi perdano l’interessenza. Fluttua, imprevedibile eppure armonica, sembra volare, ma sta cadendo, muore ma sta dando origine ad altro.

disegno di Paolo Samarelli

Indirizzo: via Prenestina 27, 03010 Acuto (Frosinone‎)

Tel: 0775 56049
E-mail: info@salvatoretassa.it

Sito web:  http://www.salvatoretassa.it

Il ristorante ha una stella Michelin

https://www.viamichelin.it/web/Ristorante/ACUTO-03010-Colline_Ciociare-123938-41102

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