Giovedì 25 maggio si è svolto a Roma presso il Centro Congressi di Via Cavour un Convegno organizzato da Telefono Amico Italia (TAI) sul futuro dei Telefoni d’ascolto per festeggiare il suo cinquantesimo anniversario. L’invito è stato esteso ad altri centri “consanguinei”, telefono Azzurro e Rosa, SPS Servizio per la prevenzione del suicidio, Prevenzione Suicidi, AUSER Filo d’Argento, e con la partecipazione di ConVol e Facebook.
Questo è servito non solo al confronto di esperienze con il difficile tema dell’aiuto tramite l’ascolto, ma anche a dare rilevanza ai vari telefoni, l’esistenza dei quali è purtroppo ancora ignorata da molti. Se vi va di viaggiare su Facebook, ci troverete un po’ di materiale su quello che è avvenuto. Il nostro direttore Paolo Samarelli ci è andato col sottoscritto, che ha presentato un suo studio. Da questo il vostro umile scrivente e servitore ha elaborato il suo lavoro, esaminando due temi tra loro apparentemente distanti, ed ecco a voi.
Sul convegno ha scritto Caterina Pasolini su Rep.it-cronaca
Balene e robot
Luigi Toiati
“Reduce dall’Amore e dalla Morte gli hanno mentito le due cose belle!” (Guido Gozzano, In casa del Sopravvissuto, I Colloqui, 1911)
Due singolari fenomeni stanno riempiendo le pagine scritte, i servizi radioelevisivi e l’oceano del web, ingrassando il Leviatano delle “bufale” (che l’inclito si ostina ad anglicizzare): la Balena Blu (“Blue Whale”) e i sex-robot. Il primo di polvere ne solleva molta, ma sono state assunte posizioni ufficiali che ne accreditano la veridicità.
[Sul fenomeno Blu Whale un servizio e un video di RaiNews 24 e qui un approfondimento del Sole 24ore]
Voi direte, ma che c’entrano l’uno con l’altro? Vado a spiegarmi. Nel primo caso la gente si suicida a comando mentre qualcuno la riprende, per poi mettere il tutto nella stessa rete dalla quale era partito l’incitamento al suicidio, per incitare altri alla stessa impresa. Nel secondo si compra un bel “lavoro in pelle”, per usare l’espressione del film “Blade Runner” per i “Replicanti”, ossia un robot (maschio e femmina) per farci sesso, o farsi fare “compagnìa”, dotato di “intelligenza artificiale” – e di una serie di caratteristiche troppo scottanti per esser qui relazionate. Dov’è il nesso?
Entrambi sono una fuga dalla comunicazione personale, un rifiuto del prendere contatto con l’altro, di condividerci quella quisquilia chiamata “umanità”. Se volete, una protesta contro l’altro che, a sua volta, non avrebbe saputo condividerla con noi. La protesta verso un contatto che non ci è stato dato si manifesta allora come un allontanamento: ti rifiuto uccidendomi, ti rifiuto cercando altrove il piacere. Ma questa protesta è anche un’accusa per aver ricevuto un rifiuto: lo sto facendo per colpa tua. Da qui, presumo, la risonanza sociale: ci sgomenta perché tutto questo ci appartiene, ci tocca nel vivo. Ci fa da specchio come membri di una società profondamente malata.
Tuttavia, in questo rifiuto si nasconde anche un’insidiosa autoaccusa: io non ho saputo né vivere né amare. Questo è un peso troppo grave da sostenere, e ci si tira fuori accusando l’altro. La risposta è espressa come un urlo, un esagerato alzare la voce per protestare: questo corrisponde alla spettacolarizzazione dell’evento. Mi suicido facendomi filmare, faccio sesso con una macchina che non mi mette in discussione. In entrambi i casi, interagisco con un sistema digitale, il video e la cibernetica, e non relazionale. Nel primo caso, la morte diventa una spettacolarizzazione e insieme un’espropriazione dell’io: l’io, apparentemente soggetto agente il suicidio, diventa invece oggetto dello spettacolo. Essere visto da altri, senza interscambio, senza dialogo, comunicazione, significa divenire oggetto della visione, come un video senza audio. Significa trasformarsi in telegiornale: l’evento e la notizia vengono dati senza possibilità di interlocuzione.
Nel secondo caso, il sex-robot (ce ne sono di entrambi i sessi e per tutti i gusti) corrisponde a una espropriazione dell’altro, veder l’altro (il robot) come oggetto in una visione senza comunicazione, come sopra. Il robot approva, amplifica, non discute le mie capacità amatorie, le “vedo” (come in un video di me stesso/a) attraverso di lui/lei. La sua approvazione non è emotiva, “spontanea”, ma programmata nel “pacchetto” acquistato, nel suo software. Come nel suicidio personalizzato, il canovaccio resta all’impronta: lì posso recitare le mie ultime litanìe, qui posso straparlare e gemere.
Come vedete, in entrambi i casi si scavalla il giudizio sulla prestazione: sia smettendo di vivere che facendo sesso stavolta cesserò di essere giudicato/a. Entrambi sono un’uscita definitiva di scena: scompaio dal mondo della relazione con gli altri. Entrambi sono un’iperestesìa, un eccesso di percezione, della regìa di me stesso per me stesso: sono regista, attore, scenografo, sceneggiatore e pubblico di me stesso. Un vero e proprio monumento alla spettacolarizzazione: pubblica per il suicidio, privata per il coito cibernetico. Il trionfo dell’abdicazione.