Luigi Toiati
“Il ricevitore all’orecchio, Maigret guardava la pioggia scorrere sui vetri e pensava che doveva esserci il sole a Porquerolles, un’isoletta del Mediterraneo al largo di Hyères e di Tolone. Non c’era mai stato, ma gliene avevano parlato spesso. Quelli che tornavano di là erano abbronzati come beduini. A proposito, era la prima volta che gli telefonavano da un’isola e rifletté che i cavi telefonici dovevano passare sotto il mare”.
Da Il mio amico Maigret, Georges Simenon 1949.
Devo dire, da buon Maigrettofilo di aver risposto al richiamo che per tutto il romanzo “Mon ami Maigret” quest’isoletta lancia al lettore. Georges Simenon la descrive come un piccolo inferno-paradiso alla Gauguin, dove chi arriva spesso non riparte più, e si lega indissolubilmente all’isola, con quella che lo scrittore chiama “porquerollite”. Mescolati ai pochi abitanti, tutti pescatori amministrati da un Sindaco bottegaio che va in Comune con un “grembiule grigio lungo fino ai piedi”, tanti “ex” qualcosa –dentisti, artisti, ufficiali Inglesi dell’Armata d’India- ciondolano da un angolo all’altro dell’unica piazza, e da un “bianchetto” all’altro dei pochi bar-bistrot. Sui quali primeggia “L’Arche de Noé”, a suo modo co-protagonista delle vicende del romanzo.
L’approdo
Così, armi e bagagli, con mia moglie –unica compagna di viaggio accettabile, anche perché crapulona sapiente- ci siamo imbarcati in questo stuzzicante viaggio francese, attratti dagli ammiccamenti di questa piccola sirena del Mediterraneo. Ma lasciamo a Simenon il gusto dell’approdo:
“Via via che avanzavano sull’acqua di seta, i contorni dell’isola si precisavano, con i capi, le baie, i vecchi forti tra la vegetazione, e proprio nel mezzo un grappolo di case chiare e il campanile bianco di una chiesa che pareva uscita da una scatola di costruzioni”.
A metà giugno l’isola è ancora gradevole, i guai arrivano ad agosto, quando moltitudini di turisti giornalieri invadono l’isola. Non credo oggi ci siano ancora malati di porquerollite in loco, e certo i pescatori locali hanno scoperto che vendere bibite e panini rende più di una levata alle due di notte per calare le reti. Ma nonostante questo – di primo mattino e tardo pomeriggio, prima e dopo l’arrivo di Usipeti e Tencteri (licenza poetica per turisti tedeschi n.d.r.) – gli abitanti sono cordiali e simpatici con chi alloggia sull’isola, e per tale rientra nelle loro grazie. E Porquerolles è davvero splendida, sia come mare che come campagna, con i pini che sembrano voler entrare in acqua, e piacevolissime passeggiate tra vigneti bassi color dell’oro. Vigneti, ergo: vino. Sull’isola ci sono infatti tre “domaines”: Domaine Courtade, Domaine de l’Isle, Perzinsky (il mio preferito). Tutti producono sia bianco, che rosso e rosé.
Vini e “domains”
Domaine Courtade
- Rosso: 97% Mourvèdre, 3% Syrah. In barrique per 12-18 mesi.
- Bianco: 100% Rolle. In barrique per 11,5 mesi.
- Rosé: 70% Mourvèdre, 20% Grenache, 10% Tibouren.
Domaine de l’île
Bianco: 100% Rolle.
- Rosso: Vieux Grenache, Syrah.
- Rosé: Ginsault, Syrah, Tibouren.
Perzinsky: sito in costruzione qualcosa qui.
Rosso: 80% Mourvèdre, 15% Syrah, 5% Cabernet. “Cuvaison 15 jours (sic) avec remountage quotidien”.
- Rosé: Mourvèdre, Grenache, Syrah, Ginsault.
- Bianco: 70% Rolle, 30% Semillon.
Vi consiglio di andar per aziende a piedi. L’isola si gira agevolmente, e i “velò” in affitto complicano la vita inutilmente. Sono veri strumenti di tortura per chi, come il sottoscritto, per trentacinque anni ha girato su una bici “normale”. Le fattorie sono vicine tra loro, e prossime al villaggio, l’accoglienza cordiale. I prezzi (mai al villaggio!) incredibilmente onesti. Alla Courtade sono riuscito a strappare tesori preziosi, acquisiti dopo una degustazione che da verticale rischiava di finire in orizzontale. Siamo membri onorari della Lega Pro-alcoolismo.
Niente di più piacevole poi che rimettersi in sesto in un bistrot a mezzogiorno sulla piazza –l’unica- del villaggio con una buona “galette” al prosciutto e formaggio e un pentolino fumante di “moules et frites”, innaffiate da un boccale di birra gelata. Se ce la fate, potete anche chiudere con una “crèpes” tra le moltissime della lista.
Trovare alloggio sull’isola non è difficile, e ce n’è per tutti i gusti.
Qui vi fate un’idea.
“L’Arche de Noé” che aveva ospitato Maigret, pardon, Simenon, e affacciava sull’unica piazza dell’isola (Places d’Armes) è ahimè scomparsa. Oggi c’è un hotel “Arche” e si trova in Rue de la Ferme accanto alla piazza. Più appartati, con terrazza e vista su bosco e fortino sia “Villa Sainte Anne” che “Les Glycines” . Dal primo si mangia meglio, con un bel dehors sulla piazza.
Se amate i “meublés”, che moltiplicano la tranquillità e dimezzano i costi, allora Mme Arnaud con il suo “Gloannec” fa per voi. Ma anche “Chez Yvette” sulla silenziosa e piacevolissima passeggiata al Faro.
Le Mas du Langoustier” è più su di tono, un ottimo indirizzo per isolarsi; lontano dal paese, ma con un buon servizio di navette, è vicino a due belle spiagge e offre un ristorante con buffet a mezzogiorno, e un altro serale con un bel dehors e con i piatti “stellati” Michelin. Qui i menù sono sia a prezzo fisso, che a degustazione e “à la carte”…con voli pindarici dei cugini d’oltralpe sul menù.
Per quanto mi riguarda, confidando con ragione in Simenon, avrei volentieri stabilito il mio “bivouac” gastronomico all’”Arche”, ma ahimè ignoravo la triste sorpresa che mi attendeva. Amici che la frequentarono anni or sono me ne avevano decantato la linea di piatti regionali, con qualche volo creativo, ma senza indulgere nelle ernie mentali che Carmelo Bene stimmatizzava come “la cucina armonica di Elle”. A mo’ di epitaffio, riporto dai loro racconti una sontuosa “bouillabaisse” (con almeno, riporto, 11 spicchi d’aglio), servita in una corteccia di sughero, e con il suo brodo a parte. Ma anche la cucina di terra sembra fosse ben rappresentata: tra l’altro, un croccante “magret” con patatine novelle, cotto a puntino, e un plateau di formaggi locali degno di Androuet, inclusa una crema fresca da far resuscitare i più ghiottoni tra gli “Incroyables” Termidoriani! Che ci siamo persi.
Di diverso registro gli altri ristoranti, con zuppe e “plat du jour” più modesti, ma dove, come alla “Villa Sainte Anne”, una vista deliziosa, un servizio accogliente, e un buon “pichet” di rosé locale sopperiscono a menù più elementari.
Da non tralasciare l’aperitivo –o il digestivo- nei bistrot sulla piazza, punti focali del luogo, piacevolmente affacciati su una veranda di legno ai margini del porto gustando un “tomate” –succo di pomodoro e anisetta locale- o un regale “Bas-Armagnac dopo cena, …fumando la pipa!
Ma, devo confessare, la cena più bella l’ho fatta con mia moglie sulla spiaggia totalmente deserta in compagnia dei gabbiani, svuotata dai barbari, al tramonto. Pollo freddo, pomodorini sott’olio, chèvre e olive, prosciutto e meloncino provenzale, pane fresco (bijou delle “Boulangerie de l’île”). E, naturalmente, Courtade bianco. Tutto il nécessaire per sdrammatizzare un …esimo compleanno.