Anna Veneruso
“Io credo che una ricetta sia solo un tema musicale che un cuoco intelligente può suonare ogni volta con una variazione”.
(Pierre Benoit)
Colpisce quando non te l’aspetti. E non è una questione di chili di troppo o delle solite diete disintossicanti post stravizi festaioli. Sarebbe troppo semplice. No, il cibo si presenta sotto forma di ricordo, di sensazione già provata, evocazione di un passato cui una pietanza o una ricetta hanno dato un significato tutto particolare. Il cibo è memoria come un brano musicale, o la foto di un viaggio che ci sovvengono all’improvviso.
L’irresistibile gusto retrò dei libri di cucina
Mi è capitato di sfogliare una raccolta di ricette tipiche del Lazio: i libri di cucina – al pari del web ma con il fascino ormai retrò della carta stampata -sono una attrazione irresistibile, mentre li sfogli cerchi di ricordare se hai mai usato – e che sapore ha – l’anice stellato oppure ti chiedi se hai mai visto il dragoncello e se sapresti riconoscerne la pianta. A volte, come nel mio caso, ti colpisce il nome di una pietanza: frascarelli. Leggendo la ricetta ero certa di non averli mai preparati né di averli mai mangiati. Un piatto povero della tradizione non solo laziale ma anche umbra e marchigiana. E a ben pensare, con qualche variazione, di tutta l’Italia centrale. I frascarelli non sono altro che una pasta rustica preparata spruzzando acqua bollente su una spianatoia cosparsa di farina utilizzando una frasca, ovvero un ramoscello con le foglie, per non ustionarsi. Con questa operazione, girando la farina con l’aiuto delle mani, si ottengono dei “grumi” simili ad una pasta grattata da cuocere in brodo, più o meno condito, e si possono sfamare tanti con poco. Anzi pochissimo. Tutto qui.
Frascarelli nelle tradizioni popolari
Ma per me significava tanto di più. E ho dovuto pensarci sopra un bel po’, e soprattutto cercare aiuto nel web (stavolta insostituibile) per scoprire che la tradizione popolare vuole che i frascarelli favoriscano la lattazione nelle puerpere e quindi, in passato, venivano propinati in gran quantità alle donne che allattavano. Ed ecco il nesso: mia nonna li preparava per mia madre quando nacque mio fratello.
Da bambina, sempre attratta dai riti misteriosi che si officiavano in cucina, vedevo passare questi piatti di minestra destinati all’uso esclusivo di mia madre e di conseguenza del piccolo usurpatore dell’affetto materno. Immaginavo, allora, che il cibo proibito fosse anche buonissimo e oggi posso dire che lo è veramente!
La ricetta
L’importante è preparare un battuto di lardo e farlo sciogliere in tegame con un trito di cipolla, sedano, salvia, rosmarino, timo e maggiorana. Quando le spezie hanno profumato l’aria bisogna aggiungere una tazza di passato di pomodoro, sale, pepe (non per le puerpere) e brodo quanto basta per il fondo della minestra che dovrà bollire dieci minuti. I frascarelli vanno cotti in questo brodo da allungare secondo necessità. Alla fine la minestra deve risultare piuttosto densa. A piacere si serve con un filo di olio a crudo e pecorino grattugiato.
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