Marco Giannini
Una quota crescente di diagnosi mediche si basa ormai sulla raccolta e analisi di una grande massa di dati clinici, e la loro visualizzazione fa sempre più spesso la differenza. Qui un excursus sulle tecniche più usate a partire da un sondaggio tra medici, e qualche divagazione sul tema.
Datastories è un podcast (cioè una registrazione audio diffusa via internet) dedicata al Data visualization. E’ stata creata da Enrico Bettini e Moritz Stefaner, rispettivamente un docente di computer science a New York e un designer di fama internazionale che lavora al crocevia tra UID (user interface design), estetica e visualizzazione dei dati. Il canale radio diffonde interviste a professionisti del settore, siano essi ricercatori, resident data journalists, pubblicisti indipendenti, scienziati e via dicendo. Ogni puntata offre un dialogo di circa tre quarti d’ora, gli autori discutono solitamente con l’ospite di turno su un argomento specifico, come il suo ultimo progetto o il suo intero percorso professionale, cercando di cavarne il valore euristico, insomma, cosa c’è di utile e di buono. Il tono è divulgativo e per questo risulta appetibile anche a chi non ha diretti interessi professionali nel campo.
E’ un’iniziativa senza scopo di lucro e si basa interamente sul lavoro volontario e gratuito. A tutt’oggi, dopo 114 interviste pubblicate e circa 6 anni di attività, grazie alla vasta rete di conoscenze dei due autori, Datastories resta una ragguardevole fonte di informazioni sulle novità nel settore del Data visualization, e un piacevole divertimento per chi vi è addentro.
Un’applicazione del Dataviz in cardiologia
Il Data visualization è al momento la voce più forte tra le molte attive nella comunicazione visuale. Per una larga parte viene usata nell’analisi finanziaria e aziendale, nel big data (grazie a sofisticate tecniche di data processing e in misura crescente anche nelle redazioni online dei media giornalistici più importanti.
Tra i molti suoi meriti, l’applicazione nei campi delle scienze e lo sviluppo di metodi di comunicazione rapida nella letteratura specialistica. Su questa falsa riga si muove la carriera di Michelle Borkin, una docente di computer e information science alla NorthEastern University di Boston e ricercatrice al Brigham & Women’s Hospital. Come racconta a Bettini nel podcast #113 di Datastori.es, a partire dal 2011 la Borkin ha condotto uno studio congiunto con alcuni cardiologi americani sull’utilizzo della visualizzazione 3D nella diagnostica per immagini.
A sinistra una visualizzazione di una parte del sistema venoso, 3D a sinistra e 2D a destra. In entrambe le immagini i colori indicano il grado di disfunzione endoteliale.
L’indagine principale prende in considerazione la visualizzazione tridimensionale delle arterie coronarie di un paziente-tipo, con disfunzioni endoteliali, e la mette a confronto con la più tradizionale (e consolidata) visualizzazione a due dimensioni. Il test ha l’obiettivo di verificare se e in quale misura la visualizzazione 3D sia di maggiore aiuto ai cardiologi. L’altro quesito posto riguarda l’utilizzo delle scale di colore (ad “arcobaleno” oppure a contrasto) per indicare al medico il grado di disfunzione. I risultati raccolti dalla Borkin mostrano che la maggior parte dei medici preferisce una visualizzazione 2D “a settori” cioè con una chiara segmentazione delle arterie interessate, mentre la visualizzazione tridimensionale ha utilità limitata solo ai casi specifici. La tinteggiatura ad arcobaleno risulta meno apprezzata di quella a contrasto, più chiara e immediata.
Consigli (e dettagli) da un’esperta
Di là dalle conclusioni del sondaggio, il mondo della visualizzazione in campo medico è in realtà assai articolato. Abbiamo chiesto alla radiologa Marina de Vargas, in servizio al Policlinico Umberto I di Roma, un vademecum per chiarirne i punti nodali.
Il settore di cui parliamo, data la sua pervasività, da diversi anni non è più chiamato radiologia ma diagnostica per immagini, perché non si basa più soltanto sull’utilizzo dei raggi x ma su radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti. In forza della grande evoluzione dell’informatica, la gran parte della disciplina consiste oggi nell’analisi dei dati raccolti e rielaborati dalle macchine: con la Tac e la risonanza magnetica si ottengono immagini molto vicine alla realtà, che in passato erano acquisite nelle sole due dimensioni (nel caso di una tac, la “fetta” del corpo inquadrata può essere vista da sopra, da sotto, da un lato, ecc.), attualmente possono essere acquisite già come immagini volumetriche, e sono successivamente rielaborate per visualizzazioni di superficie o di singoli organi, o di alcune strutture, scartandone altre.
Per un medico utilizzare il 3D significa ruotare l’oggetto di studio in tutte le direzioni; nel caso di un organo, poterne apprezzare l’anatomia e le deformazioni patologiche; questo tipo di analisi risulta già evidente all’esperto in una rappresentazione bidimensionale, ma la contestualizzazione – o al contrario l’isolamento dell’organo rispetto al contesto – aiuta comunque. Le immagini tridimensionali si fermano di solito sulla superficie dell’organo. Hanno acquisito crescente importanza nella comunicazione tra medici, in particolare tra specialisti di un campo e altri, per esempio al passaggio di un paziente da un reparto ospedaliero a un altro. E sono peraltro molto utili, dato il grande risparmio di tempo e denaro, anche per lo studio delle nuove generazioni di specialisti, perché prima della loro introduzione – ancora pochi anni fa – tutte le osservazioni di anatomia patologica venivano compiute su cadaveri o in sala operatoria. All’uso delle tre dimensioni si accompagna sovente la visualizzazione per contrasto, che verte sulle differenze tra un tessuto e un altro adiacente, o tra una struttura e un’altra. Per esaltare la visibilità di queste differenze viene somministrato al paziente un liquido di contrasto che va a riempire gli organi cavi: nel sistema circolatorio (per via venosa), nello stomaco (per via orale) eccetera. Se negli organi cavi è già presente liquido (come per esempio nel sistema circolatorio), l’aggiunta di liquido di contrasto va a mutarne il numero atomico e la densità, migliorando la visualizzazione.
Il 3D possiede un ruolo decisivo in alcuni campi specifici, per esempio lo screening virtuale che è una tecnica diagnostica basata sulla visualizzazione 3D. L’analisi, ottenuta grazie a dati ricavati dalla risonanza magnetica, consiste nel simulare l’introduzione di una sonda in una parte del corpo e – per così dire – guardarsi attorno. E’ usata per esempio nei casi di intervento chirurgico al cervello (si parla allora di neuronavigazione), la mappatura del quale consente di muoversi in un ambiente già accuratamente “misurato” e di lavorare su distanze predefinite (proprio come nel caso di un disegno architettonico in Cad): un chirurgo che sta operando sul cerebro di un paziente conosce in ogni momento la distanza del bisturi dalla parte lesionata e da altre aree.
Le tecniche endoscopiche tradizionali, come la colonscopia o la gastroscopia, sono effettuate in sedazione e risultano molto invasive per il paziente, anche se l’introduzione di una sonda permette l’intervento immediato (per es. la rimozione di un polipo, o l’acquisizione di materiale organico per una biopsia). Assolutamente da preferire quindi l’analisi virtuale, se l’obiettivo resta un semplice screening. Un altro esempio è la valutazione dei danni causati da un corpo estraneo presente nel corpo del paziente. Le ricostruzioni tridimensionali sono fondamentali nell’applicazione delle artro-protesi: una protesi d’anca, attualmente, viene realizzata sulle misure esatte dell’arto originario. Stessa cosa nella ricostruzione maxillo-facciale e in odontoiatria.
Il futuribile
Al giorno d’oggi gli sforzi dei ricercatori e della grande industria medica si concentrano sul passaggio dalle analisi a radiazioni ionizzanti (Tac e radiografia) alla più salubre risonanza magnetica. In un futuro prossimo la macchina che si usa per una risonanza – al momento un enorme magnete a cilindro – potrebbe diventare meno ingombrante e più rapida, permettendo ai medici di utilizzarla anche in sala operatoria.
Un enorme incremento informativo – organo per organo – potrebbe essere ottenuto col fusion imaging , cioè con l’unione di più tecnologie in un solo strumento: tac + risonanza + scintigrafia, per avere a disposizione contemporaneamente dati funzionali e morfologici. A Roma è già in funzione una Tac Pet (medicina nucleare + radiologia) ma in pochi presidi ospedalieri, di difficile accesso, con uno staff medico ridotto e con esperienza d’utilizzo ancora scarsa.
Life-saving-visualizations, una lunga storia
La medicina lavora a braccetto con la scienza della visione da molto prima dell’intvenzione dei computer e delle macchine per l’analisi mediante radiazioni, perché ha imparato a servirsi dell’analisi quantitativa e degli strumenti concettuali della statistica. Come ogni buon libro di Edward Tufte non dimentica mai di mettere in luce, quando si ragiona alla luce dei fatti considerati nella loro quantità, certi metodi per analizzarli e soprattutto visualizzarli sono migliori di altri, perché producono più frequentemente risultati affidabili e precisi.
Tanto è stato detto e scritto sulla ricerca del dottor John Snow, un medico londinese che nel 1854 riuscì a porre fine a un’epidemia di colera nel quartiere di Soho grazie alla creazione di grafici statistici e una mappa del quartiere che riportava, abitazione per abitazione, l’insorgenza di nuovi casi. In pochi giorni Snow individuò la fonte dell’infezione in una specifica pompa dell’acqua in Broad Street, perché condusse indagini su 68 decessi per colera e scoprì che in 61 di questi casi le vittime usavano abbeverarsi a quella pompa.
Alla base della teoria di Snow c’era un’intuizione (che il colera si propagasse attraverso l’acqua e non per via aerea, come ritenuto fino ad allora; la verifica dell’esistenza del vibrio cholera sarebbe arrivata solo nel 1886), uno studio scrupoloso dei dati e la conseguente analisi empirica. Mappando i casi d’infezione, Snow trovò una corrispondenza tra le diverse fonti di approvvigionamento dell’acqua e i diversi gradi di epidemia.
Come ci racconta Tufte, la contestualizzazione dei dati giocò la parte più importante, perché Snow non si fermò alla semplice verifica del dilagare dell’epidemia ma confrontò la localizzazione delle 13 pompe dell’acqua nel quartiere con la concentrazione delle morti per colera. Il medico condusse indagini non solo nei luoghi delle morti accertate, ma anche in quelli dove – contro ogni tendenza nelle strade attigue – non si verificarono decessi: c’erano nei pressi di Broad Street due birrifici, con oltre settanta addetti, i quali in entrambi i casi non usavano l’acqua delle pompe stradali ma quella dei pozzi aziendali. Nei due birrifici non vi furono infezioni, a parte due casi minori e senza conseguenze fatali. Fu allora una semplice conseguenza dei suoi studi arrivare alla conclusione, in appena una settimana, che la pompa di Broad Street fosse il ricettacolo dell’epidemia. Chiusa quella e altre adiacenti, essa si fermò, e non vi furono più casi d’infezione.
Florence Nightingale, una nurse resa celebre dal servizio al fronte durante la guerra di Crimea e più tardi dall’opera di modernizzazione della scienza infermieristica britannica, ebbe il merito di portare all’attenzione del mondo l’importanza della statistica e del suo corretto utilizzo nelle situazioni di emergenza.
Senza aver mai avuto – ovviamente – la possibilità di studiare l’opera di Tufte, la Nightingale compilò durante il conflitto una vasta serie di tavole statistiche a riguardo delle condizioni di salute (e di decesso) dei soldati, studiò i purulenti bendaggi e l’inquinamento dell’acqua sanitaria negli ospedali da campo, e sviluppò infine un sistema di visualizzazione che ancora oggi porta il suo nome : un diagramma a torta in cui il dato quantitativo è rappresentato non dall’estensione dell’arco di cerchio ma dalla lunghezza radiale di ciascuna delle 12 fette (per i 12 mesi dell’anno), suddivise ulteriormente secondo la causa di morte del soldato. Tanta fu la fama conquistata dall’infermiera, che le fu offerto di fondare la prima scuola infermieristica del mondo, al King’s College di Londra, dopo la fine della guerra di Crimea .
Il big data civile come tutore pubblico
Oltre alla scienza medica, esistono altre forme di salvaguardia sociale in cui il data visualization è ormai usato attivamente. Com’è noto da alcuni decenni molte città nel mondo producono dati che – se correttamente utilizzati – possono rendere migliore la vita dei cittadini e addirittura salvare delle vite. Los Angeles, ad esempio, ha sviluppato un sistema di analisi dei dati sulle vittime stradali, che oggi è liberamente consultabile online. La città californiana ha adottato il sistema Vision Zero – un’idea nata in Svezia sul finire del secolo scorso – al fine di ridurre il più possibile le morti da traffico. Non un caso, considerato che la California è risultata in testa alla triste classifica di morti in bicicletta nel 2014. Sul sito comunale visionzero.lacity.org è possibile da qualche anno consultare una mappa cittadina completa dove sono segnalati gli incroci e le strade più pericolose. Il database è alimentato dalle segnalazioni dei comuni cittadini, e massicciamente utilizzato dal dipartimento di polizia locale, che apportando diverse migliorie alle vie di comunicazione ha contribuito a ridurre le vittime stradali di circa il 50%.
Esiste peraltro un secondo progetto cittadino, questa volta privato, a opera di DataScience impegnato nell’abbattimento delle morti da traffico stradale. DataScience ha creato una mappa interattiva di Los Angeles che mostra i luoghi dove si verificano più spesso le collisioni tra biciclette, ed evidenziato come non solo il disegno erroneo delle strade cittadine sia responsabile del problema, ma anche la non completa affidabilità della segnaletica, la cattiva conoscenza del codice della strada da parte dei ciclisti e la manutenzione del manto di asfalto. Il tutto basandosi su segnalazioni dei ciclisti locali.
Il progetto ha ricevuto fondi da privati per 22 milioni di dollari solo nel 2015, e indotto la pubblica amministrazione a ritoccare alcuni percorsi cittadini. Il lavoro è stato pubblicato sul giornale locale LaTimes nel 2015 .
Bigger is better
Se parliamo di visualizzazioni salva-vita, ovviamente il pensiero corre ai vari segnali di pericolo, alle mappe di evacuazione ora imposte per legge nei luoghi pubblici e di lavoro, all’uso dei colori rosso e giallo (uno standard ormai internazionale).
Per chi fosse interessato al lato enciclopedico, un verboso studio onnicomprensivo sull’utilizzo dell’ergonomia visuale applicata alle situazioni di rischio è International Encyclopedia of Ergonomics and Human Factor di Waldemar Karkowski, Taylor & Francis, New York, 2006 (seconda edizione).
La visualizzazione, però, non deve necessariamente apparire su un muro o sullo schermo di un computer: cambiando completamente ambito e formato, un ambizioso progetto salva-vita (e anche salva-dollari, e a miliardi) è stato da poco completato nell laboratorio per gli studi fluviali della Louisiana State University. Il fiume Mississippi percorre gli Stati Uniti per una lunghezza di oltre 3.700 chilometri, prima di raggiungere il Golfo del Messico in Louisiana; per conoscere le dinamiche del bacino meridionale, in un magazzino universitario è stato allestito un gigantesco plastico della regione di New Orleans (gli ultimi 288 chilometri prima della foce) con tanto di depositi sabbiosi e acqua in movimento.
Il modello plastico è parte di un lungo progetto di studio dedicato alla piena comprensione del cambiamento climatico nella zona, in particolare su come gli argini artificiali in tutta la Louisiana meridionale influenzano l’arricchimento del suolo nelle terre umide in prossimità del fiume e prevengono l’innalzamento delle acque. Lungo la costa sud degli Stati Uniti, il problema legato al riscaldamento globale e alla mutazione delle perturbazioni discende dal fatto che senza l’accumulo normale dei sedimenti sabbiosi stagionali durante l’estate, le terre umide stanno scomparendo, al ritmo di un campo di calcio ogni ora. Molto territorio è stato perso finora, trasformandosi in palude salata, e la Louisiana è divenuta il primo Stato americano che ospita profughi ambientali.
Circa mille metri quadrati, con percorsi acquiferi e serbatoi di sabbia fine sparsi un po’ ovunque, centinaia di rilevatori interni, una simulazione quasi perfetta dell’esondazione ciclica del Mississippi: sotto osservazione sono i sediment diversions (sia quelli già esistenti sia quelli in progetto) cioè le strutture costruite lungo il greto del fiume che servono a riversare sabbie ricche di minerali dalle acque del ramo principale verso i campi adiacenti. Se funzionano a dovere, l’equilibrio chimico del suolo in un dato sub-bacino fluviale viene ricostituito, e si contrasta l’effetto dell’innalzamento del livello del mare e dell’accresciuta salinità. Terminata l’osservazione sul plastico (dove gli effetti di un anno di irrigazione possono essere simulati in meno di un’ora), la costruzione o la sopravvivenza dell’infrastruttura viene autorizzata, con un calcolo semi-automatizzato dell’impatto ambientale e dei costi.
Se ci fossimo trovati davanti a una simulazione software invece che a questo stupefacente laboratorio, la meraviglia sarebbe forse stata minore. Quel che importa è che al momento, data la grande complessità della simulazione, il plastico è più veloce di una applicazione parigrado realizzata su computer (anche se qualche approssimazione, secondo il direttore dell’istituto, è concessa).
Qui un breve documentario.
Tutti questi progetti hanno in comune lo studio dei dati quantitativi e quel tipo di approccio che gli anglosassoni chiamano problem solving: non un semplice metodo didattico (comunque da questo derivato), ma una propensione a descrivere un problema da più angolazioni, renderne chiara e comprensibile ogni parte e trovare quindi una soluzione nell’esperienza comune di più soggetti. Open data, condivisione della conoscenza, pensiero laterale : queste sono le parole chiave. E la visualizzazione ha a che fare con tutte, oggi più che mai.