di Marco Giannini
Il declino della sinistra in Europa
I partiti storici di sinistra vivono oggi in tutto il continente il loro giorno più buio. Questa veloce analisi basata sui dati riorganizza i motivi del fallimento, e traccia una linea rossa che accosta il disinteresse dell’elettorato al “tradimento” dei temi a esso più cari.
L’infografica può servire a stabilire un ragionamento basandosi sui dati, purché correttamente raccolti, elevando il livello della discussione tra persone con opinioni differenti le quali normalmente si urlano in faccia. La politica è un ottimo esempio, scalda gli animi e si basa spesso su convinzioni personali. Quello che segue invece è un modesto tentativo di interpretare attraverso i dati e la loro visualizzazione il lento e inesorabile declino dei partiti di sinistra e centro-sinistra in Europa, senza forzarne la lettura in una direzione specifica e – soprattutto – precostituita.
Presentazione
Ho presentato questa ricerca al NODA2018 – Nordic Data Journalism Conference tenutosi a Stoccolma tra il 15 e il 17 marzo scorso – nel corso di una sessione di Lightning Speeches, interventi di circa 5-10 minuti.
La ricerca analizza i risultati elettorali nelle elezioni legislative dei più importanti partiti di sinistra e centro-sinistra in 14 dei 28 (presto 27) Paesi membri dell’Unione Europea, lungo gli ultimi 25 anni. I risultati elettorali sono incrociati con i dati provenienti dai due istituti di sondaggi più importanti al livello continentale (Eurobarometer e European Social Survey ), in particolare per quanto concerne la stratificazione socio-economica del corpo elettorale che dichiara di voler votare o di aver votato per partiti di sinistra o centro-sinistra. Il mio database principale è consultabile qui: e, una volta terminato, esso includerà anche i risultati nello stesso venticinquennio delle elezioni municipali nelle principali città (secondo foglio), il sistema elettorale vigente, le eventuali coalizioni in cui ciascun partito si è presentato, la percentuale di partecipanti al voto (anche in base alla popolazione votante).
Sulla base della lettura di ponderosi studi precedenti (come i volumi “Sinistra senza popolo” di Luca Ricolfi e “La scomparsa della sinistra in Europa” di Aldo Barba e Massimo Pivetti, e altre recenti pubblicazioni di sociologia della politica), questa ricerca traccia un quadro del declino del voto a sinistra nei gruppi sociali tradizionali, cioè la working class e la middle class, ed entro quest’ultima la new middle class, costituita da lavoratori specializzati, tecnici e managers, (tutti con educazione secondaria) la quale indica una tendenziale preferenza di voto per i partiti di centro sinistra, pur tra molte oscillazioni.
Infine la ricerca propone di rintracciare nell’ambiguo atteggiamento di questi partiti riguardo alcuni grandi temi di discussione politica le cause del distacco del proprio elettorato tradizionale, e l’accostamento a fasce meno definite in termini socio-economici e meno affidabili al momento del voto (la new middle class, appunto).
In altre parole, l’obiettivo è appurare chi oggi a livello continentale vota per i partiti di sinistra, chi dovrebbe votarli secondo il direttorio dei partiti stessi (ovvero a chi si rivolge la loro offerta politica), e chi non li vota più.
Linea di galleggiamento
Si tratta di un lavoro in corso, appena cominciato, un invito alla partecipazione e uno spunto per uno studio più approfondito dei molti temi che vi si trovano. Come è bene che sia, esso solleva più domande di quante risposte fornisce.
La crisi dei partiti di sinistra e di centro sinistra in Europa è innegabile: nei quattordici Paesi da me studiati i quali presentano situazioni e storie spesso molto diverse, in 25 anni di elezioni legislative, i partiti di sinistra e di centro-sinistra più importanti hanno visto una riduzione dei consensi pari a più del 10% dei voti totali (evidenziata nel grafico qui a fianco dalla linea rossa), qualcosa come 19 o 20 milioni di voti. Mentre altri partiti minori ma talvolta di antica tradizione sono stati inghiottiti in violente trasformazioni e in certi casi sono spariti del tutto.
Lo stesso grafico però riporta anche la percentuale di governi che lungo i 25 anni hanno visto al loro interno la maggioranza – o almeno la partecipazione – di forze di sinistra o centro sinistra. Come si vede la linea nera si mantiene ben al di sopra della percentuale media di votanti. Questo significa che molti partiti storici nei Paesi oggetto dello studio hanno trovato un modo per competere efficacemente per le posizioni di governo, riuscendo a galleggiare sui turbinosi anni ’90 e ’00.
La crisi di questi partiti quindi è manifesta al momento del voto, ma ha un decorso molto più lento e graduale per quanto riguarda la presenza nei governi dei rispettivi Paesi. E’ una crisi politica e di consenso, ma non interessa la presenza nelle istituzioni, se non marginalmente.
Anche la mappa europea che fotografa la situazione attuale dei governi in carica mostra un quadro non unitario: al momento in cui scrivo, c’è una sola maggioranza di governo di sinistra insediata (in Portogallo), e le forze di sinistra sono presenti in coalizioni di governo in altri 18 Paesi, e tra questi in tre dei Paesi maggiori come Germania, Italia (ma qui la situazione è incerta) e Spagna. Conosciamo quel che accade in democrazie di lungo corso, quali quella francese, austriaca, olandese e ultimamente quella italiana, in cui l’insorgenza di movimenti cosiddetti populisti sembra talvolta mettere a repentaglio la tenuta democratica del Paese. In realtà nell’Occidente europeo il successo di queste nuove formazioni politiche non si è misurato fino ai giorni attuali con la loro presenza al governo e quindi con l’attuazione di politiche “anti-sistema”; esse hanno lucrato sullo scontento popolare, sui problemi derivanti dalle ondate migratorie, ma non hanno ancora avuto modo di mutare profondamente il funzionamento dello Stato. Finora solo nel blocco dei Paesi ex-sovietici si è assistito a derive antidemocratiche, peraltro in maniera apparentemente indipendente dal calo dei partiti storici di sinistra.
E’ comunque evidente lo slittamento verso destra dell’intero continente, qui evidenziato in alcuni “fotogrammi” della storia continentale unitaria dal progressivo aumento dei quadrati di colore azzurro o blu rispetto a quelli rossi o rosa.
Un declino inesorabile
Il calo dei principali partiti social-democratici risulta evidente se si analizzano gli andamenti Paese per Paese, e mostra una tendenza sempre più ripida nell’ultimo quarto di secolo, a parte alcune eccezioni.
Queste eccezioni sono tutte localizzate nei Paesi occidentali (Labour Party in Inghilterra, Partido Socialista in Portogallo, Syriza in Grecia), mentre il declino è accentuato in molti dei Paesi ex-sovietici e nei tre Paesi scandinavi appartenenti alla Ue.
Il tema principe, il mercato del lavoro
Nonostante le differenze profonde tra i vari partiti distribuiti in Europa (grandi e piccoli) e il loro elettorato, e tra le varie cornici politiche e le diverse storie nazionali, l’obiettivo di questo lavoro rimane quello di individuare quali comportamenti – attuati duranti gli anni di governo o solo promossi negli atti propagandistici – hanno provocato l’alienazione dell’elettorato tradizionalmente fedele, le frizioni via via crescenti tra correnti interne agli schieramenti, e le molte batoste elettorali.
In parole semplici, la tesi è che quanto più i partiti di sinistra inseguono il voto “liberal” della new middle class, tanto più il loro elettorato tradizionale si sposta su posizioni di sinistra più radicale, esprime una preferenza per le nuove forze anti-sistema, oppure semplicemente si astiene al momento del voto, condannando gli schieramenti social-democratici e post-comunisti europei a lunghi periodi di minoranza parlamentare, e addirittura di totale irrilevanza in certi Paesi.
Quali sono questi comportamenti, quali le misure che hanno causato questo slittamento?
I temi considerati sono:
– Legislazione sul lavoro
– Stato sociale
– Progressività fiscale
– Connessioni e rapporti coi sindacati del lavoro
– Apertura/chiusura alle privatizzazioni
– Diritti civili
Mi sono per ora concentrato sul solo approccio al mercato del lavoro nei vari Paesi, perché esso è usato di solito per determinare le classi sociali (vedi oltre).
Qui sopra un riassunto delle politiche sul lavoro attuate in 4 maggiori Paesi europei. Le stesse politiche sul lavoro negli altri 10 Paesi esaminati devono ancora essere approfondite e schematizzate.
Leggendo nel dettaglio le modifiche allo statuto dei lavoratori (in senso lato) in Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia, si può notare come il primo sia il solo tra i quattro grandi (e più ricchi) Paesi europei in cui il cammino verso l’abbraccio a politiche più favorevoli al mercato libero, alla deregolamentazione, alla libera circolazione della forza lavoro e dei capitali che la muovono sia stato intrapreso molto presto (la Terza via di Tony Blair ha inizio già nel 1997) e sia stato infine percorso in senso contrario durante gli anni 2000, in particolare per quanto riguarda l’abrogazione parziale o totale di alcune leggi emanate negli anni ’80 dal duraturo e incisivo governo Thatcher. Per gli effetti più lenti, mai completamente riassorbiti e anzi spesso amplificati dalla crisi economica scoppiata nel 2009, di simili riforme in Germania (pacchetto “Hartz”) , in Italia (ad esempio la “legge Treu” ma anche la riforma Fornero ) e in Francia (“Loi Travail” ), si rimanda alla lettura di saggi quali il già citato volume di Scarpa e Pivetti, e alla lista di articoli in fondo.
In generale, i partiti di sinistra e centro-sinistra europei sembrano aver perso di vista o volutamente dimenticato la natura conflittuale del sistema e il ruolo dell’azione collettiva come determinante del progresso sociale all’interno del capitalismo. Nei giornali dell’ultimo trentennio sono di fatto spariti, “più che i discorsi sulle classi sociali e sulla questione generale dei rapporti di forza tra salariati e percettori di redditi da capitale e impresa, le questioni connesse con la capacità dello Stato di influire su tali rapporti di forza e sull’esito del conflitto distributivo. Storicamente, che i poteri pubblici siano in grado di risolvere lo scarto tra obiettivi politici ambiziosi e vincoli del mondo reale è stata una convinzione condivisa in Europa tanto dalla sinistra che dalla destra. Negli scritti dell’intelligentsia francese e italiana per esempio, questa visione illuminista e razionalista del cambiamento sociale, imperniata sull’azione dello Stato e sul ruolo della regolamentazione e della legge, è progressivamente sostituita da una riscoperta del mercato come efficiente meccanismo decentralizzato di progresso economico e sociale, manifestazione insopprimibile non solo della libertà e creatività individuale ma dei “contropoteri” della società civile” (Scarpa-Pivetti, cit., cap.3)
La ricerca del consenso
Un aspetto ricorrente nell’analisi del voto, puntualmente mutuato dai giornali, è quello del voto per classi sociali. Secondo la gran parte degli analisti, la classe sociale è ancora oggi lo strumento decisivo per comprendere le dinamiche politiche ed elettorali. Qui s’innesta il possibile “tradimento” attuato dalle leadership di partito, largamente sentito tra gli strati dell’elettorato tradizionale che le accusa di appartenere ormai alle élites, e di favorirle.
In un saggio del 2017, Jane Gingrich afferma che la composizione dell’elettorato europeo di sinistra è cambiata radicalmente, in maniera sempre più accentuata, e che oggi i partiti di sinistra sembrano contare sul voto di una coalizione tra middle-class voters e traditional and new working class constituencies.
Se le classi sociali sono definite in termini di employment relations e di rischi nel mercato del lavoro, ciò applicato alla politica si manifesta normalmente in termini di voto in favore di quei partiti o schieramenti che assicurano di tenere sotto controllo questi rischi. Questo il tema antico della social security, da sempre perseguito dai partiti europei di sinistra e ratificato nell’organizzazione legislativa del welfare in molti Stati europei. Nella pratica quotidiana, un diritto (addirittura statuito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) la cui tutela è affidata ai sindacati, apparentemente indeboliti ovunque rispetto a qualche decennio fa.
Lo sgretolamento dello stato di diritto dei lavoratori (o almeno la percezione di esso) dipende massimamente dal fatto che il mercato del lavoro è oggi molto più diversificato e quindi più difficilmente difendibile rispetto ad appena due o tre decenni or sono, e che i sindacati sono da stati da allora il bersaglio preferiti delle politiche liberiste. I rapporti tra i partiti socialdemocratici e i sindacati del lavoro hanno raggiunto l’apice di conflittualità proprio durante gli ultimi 15 anni. In particolare in Inghilterra, durante il decennio di governo Blair, i sindacati già molto indeboliti durante i tre mandati Thatcher hanno contestato il fatto che non vi è stata praticamente nessuna effettiva controriforma rispetto agli anni precedenti, e anzi si è proseguito nel progetto di trasformazione del Regno Unito in Paese post-industriale; in Germania il pacchetto Hartz ha ridisegnato il ruolo delle associazioni di rappresentanza dei lavoratori partendo dalla riforma dei jobs centers; in Italia la distanza tra i due governi Prodi e la Cgil sembra addirittura cresciuta durante i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, e ciò trova conferma in una critica costante all’azione governativa da parte del più numeroso sindacato italiano.
Da notare nel terzo grafico fornito da Gingrich che oltre oltre alla percentuale di left-voters nella middle-class, cresce anche il sostegno a sinistra tra i pensionati (retired supporters, cioè la linea grigia più spessa), ormai maggioranza tra gli iscritti alla Cgil in Italia.
L’esperienza che i lavoratori hanno maturato negli ultimi anni è sempre più eterogenea quanto a livelli di salario, rischio contrattuale, “invecchiamento” professionale; la rilevanza della working class sembra esser declinata pertanto nella definizione del voto. Al contrario, una nuova middle-class ha ripetutamente espresso – secondo i sondaggi post-elettorali – una decisa preferenza per i partiti di centro-sinistra.
Lo slittamento è quindi duplice: la old working class e la new working class abbandonano i partiti di sinistra e centro-sinistra, mentre la new middle-class si muove verso di essi, attraendone le politiche.
L’altra classe sociale evidenziata da Gingrich, in movimento verso il voto a sinistra, è quella dei lavoratori pensionati, ed è quella che probabilmente mantiene elevata la percentuale di voto a sinistra, data la crescita numerica soprattutto nei Paesi europei con una popolazione molto invecchiata (tra questi Italia e Germania sono ai primi posti per percentuale di pensionati sulla popolazione totale).
Politiche a confronto
Ho radunato i sei argomenti più importanti (citati sopra) in uno schema grafico che tiene conto degli slittamenti verso le politiche liberiste e una maggiore apertura del mercato – o al contrario delle resistenze verso tali riforme – da parte dei partiti europei di sinistra e centro-sinistra. La legenda qui proposta si riferisce solo a effettive azioni legislative durante il periodo di governo, e non prende in considerazione le dichiarazioni di intenti, i contributi dei singoli parlamentari e dei rispettivi entourage mediatici, la cui valutazione metrica è ovviamente impossibile.
Il gradiente di colore mostra il grado di distacco dalla tradizione ortodossa socialdemocratica, e la legenda qui proposta indica con un colore più vivace il peso – in termini elettorali – delle riforme in senso liberista. Un peso che può essere letto come massiccia perdita di voti. L’obiettivo è completare lo studio lungo tutte e sei gli argomenti, e ultimare questo schema.
Lo schema mostra già qualche punto debole: il ristagno sociale e politico di certi Paesi è ben spiegato dalla legenda nel punto 1. Se ci trovassimo negli Stati Uniti, dove il sentiero della socialdemocrazia ortodossa suona come qualcosa di nuovo, potremmo spiegare in questi termini il successo di proposte politiche come quella di Sanders, perché negli States i classici del socialismo sono una novità. In Inghilterra a cavallo degli anni ’90 si è avuta una pesante transizione nella Terza via e quindi, dopo quella fase, il ritorno alle origini sembra (paradossalmente?) anch’esso una novità; ciò spiega in parte il successo di Corbyn soprattutto tra le giovani generazioni, e la contestazione del suo operato da parte delle frange moderate.
Lo schema invece non funziona bene per Italia Francia e Germania, Paesi in cui non si è mai veramente compiuta la rottura con la tradizione socialdemocratica: al giorno d’oggi i partiti socialdemocratici più grandi e radicati sono spiazzati, sembrano indecisi, e e cedono il passo ai movimenti anti-sistema (Podemos, M5S), alla Grosse Koalition al riformismo liberale e centralista di Macron.
Il mito della sicurezza
In Italia e in molti altri Paesi sta crescendo il sostegno per l’idea di un reddito garantito universale, basata sull’analisi dei rapidi cambiamenti economici e delle loro conseguenze sul lavoro tradizionale. Sembra essere ancora presto per un salto di questa portata, e molti governi incontrano soverchie difficoltà economiche per introdurre questa misura. Ma proporre che lo Stato si faccia carico – in tutto o in parte – delle spese di base dei cittadini significherebbe riconoscere che il lavoro da solo non può più garantire quella sicurezza collettiva che la sinistra ha sempre considerato la propria missione principale.
Se la sinistra non farà i conti con il significato del lavoro nel 21esimo secolo, la spaccatura con il suo elettorato tradizionale rischia di continuare ad allargarsi, e il ricambio generazionale di supporters, seppur ormai avviato, sembra ancora flebile e non promette successo sul lungo periodo.
Come ha scritto John Harris sul Guardian un paio di anni fa, nessun partito può esistere per sempre. Le tradizioni politiche possono tramontare e poi assumere forme nuove, e alcune semplicemente si estinguono. Quello che si può dire con certezza è che, se vuole lasciarsi alle spalle il ventesimo secolo, la sinistra dovrà tirare fuori idee e convinzioni capaci di rispondere alle sfide di una modernità davanti alla quale sta aprendo gli occhi solo ora.
Bibliografia e articoli
FLUSSI DI VOTO
European Social Survey http://www.europeansocialsurvey.org/
Eurobarometer http://ec.europa.eu/COMMFrontOffice/publicopinion/index.cfm
ALTRI TEMI
Idea https://www.idea.int/data-tools/data/voter-turnout
Aceproject http://aceproject.org/epic-en
VOTO DEI GIOVANI
http://ec.europa.eu/assets/eac/youth/library/reports/flash375_en.pdf
https://www.economist.com/blogs/economist-explains/2014/10/economist-explains-24
https://euobserver.com/opinion/126431
ALTRI ARTICOLI
http://www.lindro.it/ue-progressivita-fiscale-cercasi/2/
http://www.ilpost.it/2017/02/11/crisi-sinistra-europea/
http://thesubmarine.it/2017/10/29/leuropa-nella-spirale-della-destra/
https://www.pandorarivista.it/articoli/intervista-donald-sassoon/
http://www.assisinews.it/cultura/lsinistra-radicale-europa-marco-damiani/
https://www.nytimes.com/2017/10/02/opinion/europe-center-left-.html
http://www.debatingeurope.eu/2017/04/12/europes-centre-left-parties-collapsing/#.WibONnThD8M
https://www.ft.com/content/069d4a38-8738-11e6-a75a-0c4dce033ade
https://www.politico.eu/article/long-goodbye-of-the-european-left-francois-hollande/
http://www.rosalux-nyc.org/the-left-in-europe/
https://www.voanews.com/a/europe-left-wing-parties-election-prospects/3686826.html
https://www.termometropolitico.it/1254592_mappe-colore-dei-governi-europei.html
LISTA PARTITI
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_left-wing_political_parties
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_left_and_far_left_parties_in_Europe
https://en.wikipedia.org/wiki/Party_of_the_European_Left
Sinistra e Popolo. Il conflitto politico nell’era dei populismi
Luca Ricolfi, Longanesi, 2017
La scomparsa della sinistra in Europa
Aldo Barba e Massimo Pivetti, Imprimatur, 2016