Il minestrone del 1967

di Paolo Samarelli e redazione

Il minestrone del 1967- Tempi di Pandemia e oltre che dei lutti, del vaccino appena arrivato e delle restrizioni cromatiche che cercano di arginare i contatti, delle difficoltà economiche che stanno ridisegnando la mappa del lavoro nel mondo, si parla di cibo sui mezzi di informazione, qualunque essi siano e qualunque immaginate, solidi, liquidi e gassosi. Si cucina di più in casa, si mangia di più e per contrappasso ci si muove di meno. Molte iniziative editoriali e programmi tv oltre a quelli che già c’erano che sembravano già tanti. La verità è che di cibo e di cucina si è sempre parlato fin dal paleolitico, dai cacciatori raccoglitori in poi. In questo periodo di gravi difficoltà per la ristorazione e i suoi protagonisti l’argomento è esploso nell’attualità per ragioni di salute ed economiche. Le restrizioni hanno trasformato tanto di quel che davamo per scontato nella nostra società: basti pensare alla scuola, al lavoro da casa, alle restrizioni negli spostamenti e quel che sapete già sulla vostra pelle.

Ora in questi giorni difficili (anche la crisi di governo in Italia) mi è toccato diverse volte di cucinare per la famiglia e una delle prime idee è stata quella di tentare di replicare lo storico minestrone materno. Un appunto di gennaio 1967 (qui un 1967 con taglio assai politico), conservato per lustri in un’agenda, mi ha ispirato e si è rivelato una formidabile macchina del tempo. La semplice descrizione non bastava e mentre lo preparavo ho cercato di ricordare come ero, cosa facevo e vedevo in quell’inverno del 1967 (qui una cronologia dell’anno) per cercare di ritrovare sapori, odori e consistenze.

Mia madre cucinava per necessità e per dovere, non per vocazione, tuttavia la consuetudine l’aveva resa esperta nell’eseguire ricette ottime e senza variazioni. Pietanze sempre uguali, della tradizione pugliese, l’avevano accompagnata durante la guerra a Roma per sfuggire ai bombardamenti del porto di Bari, in una stanza ammobiliata vicino al Vaticano nella speranza che nei quartieri limitrofi alla Santa Sede non si accanissero le fortezze volanti.

Realizzava ricette semplici così come le aveva viste fare in famiglia. Sull’appunto del minestrone il sottotitolo era: “il mestolo deve stare in piedi”.

Il minestrone del 1967, gli ingredienti per 4 persone

Mezzo porro,  mezza cipolla rossa, 1 carota, 2 zucchine, 2 gambi di sedano, 2 pomodori da sugo grossi, 5 patate, basilico, 1 mazzetto di bieta,   (anche spinaci se volete), fagioli (anche misti, vanno bene anche in barattolo)

 

 

 

 

 

 

Fase 1

Laviamo tutto quel che va pulito e con la mezzaluna prepariamo un battuto fine col porro, la carota, il sedano e facciamo soffriggere quanto basta con olio evo non abbondante sul fondo della pentola

Fase 2

tagliamo le patate i pomodori e le zucchine a tocchetti abbastanza piccoli e versiamo nel tegame facendo insaporire qualche minuto.

Fase 3

“Copriamo” con acqua calda gli ingredienti; significa che l’acqua deve far affiorare patate e compagnia. Dopo aver aggiunto sale a piacere coprite il contenitore e iniziate una cottura a fuoco medio di almeno 35-40 minuti. Girate col mestolo ogni tanto e infine fate la prima prova: Se alla pressione del mestolo le patate iniziano a sfaldarsi come dovrebbero bene altrimenti non esitate a dare qualche altro minuto di cottura finché non avviene.

Fase 4

È il momento della verdura; con le mani si spezza un poco la bieta (ricordate che anche un mazzetto di spinaci ci sta bene assieme) e rimescoliamo il tutto. Ora “copriamo” di nuovo con acqua calda senza esagerare. Come prima per le patate gli ingredienti devono affiorare soltanto. Seguono altri 35-40 minuti di cottura, l’acqua deve asciugare nella pentola. Rimescoliamo ogni tanto e controlliamo il sale.

Fase 5

Ora le patate devono esser quasi sfaldate e facciamo la prova se il mestolo sta dritto nella pentola. Se non è così facciamo cuocere ancora un poco. Quando il mestolo nel composto inizia a reggersi da solo è il momento di versare i fagioli (due barattoli di vetro vanno benissimo)  e facciamo insaporire almeno 10 minuti. Aggiungiamo il basilico sminuzzato con le mani e il risultato del mestolo in verticale dentro un intingolo molto denso dovrebbe essere raggiunto. (vedi foto).

Come consumare il minestrone del 1967

Il minestrone della mamma può essere consumato com’è magari aggiungendo dei crostini sul fondo del piatto. È una portata completa.Si può aggiungere anche pasta (50 gr per persona) corta, piccola, tipo tubetti, o riso (30-40 grammi a testa). In questo caso cuocete a parte pasta o riso mischiando poi tutto o fate le porzioni e mischiate sempre verdure e pasta o riso in proporzione. Il minestrone è ottimo anche il giorno dopo e anche a temperatura ambiente. Tenete sempre presente la parola “densità”.

Due ore per pensare

Nelle due ore, due ore e mezza di preparazione e cottura ho avuto modo di pensare all’anno 1967. La casa del quartiere che un tempo era definito della piccola borghesia impiegatizia (ora è altro), il liceo classico nel quartiere Trieste, non distante dal Piper Club, quando per l’ingresso pomeridiano si pagavano 600 lire, con l’Equipe 84, i Rokes e infine Patty Pravo. La musica era decisiva per la vita in quell’anno propulsivo: Beatles, Rolling Stones, Dylan, De André , Bandiera Gialla (celebre trasmissione radiofonica dell’epoca), Bob Dylan, David Bowie, Guccini per dirne solo pochissimi e a caso. C’era ovviamente anche Sanremo e ve ne fate un’idea qui. Anni di una matura adolescenza nella quale, come dice Edmondo Berselli in “Adulti con riserva” si viveva una vita spensierata alla vigilia del ’68 che avrebbe portato con tante parole, idee, ribellioni una rivoluzione culturale e forse qualche libertà e diritti civili in più.

Anni di Vietnam, quando inorridivo all’idea che se fossi stato cittadino Usa avrei potuto essere chiamato alle armi per andare in quello che in “Apocalypse: now” viene definito il “buco del culo del mondo”.

Usa Go Home era scritto su molti muri e la guerra fredda divideva e disciplinava il mondo nell’impero del bene e del male. Concetto semplice che nascondeva veleni e una volta finito l’impero del male ci si rese conto che anche quello del bene non era poi da santificare. Nel 1967 già c’erano o si organizzavano gli “opposti estremismi” complemento del terrorismo feroce degli anni di piombo e delle stragi di Stato.

Ma cosa c’entra e che sapore aveva davvero quell’innocente minestrone col mestolo piantato dentro come una bandiera in quel contesto che sommariamente ho elencato?  Il minestrone è un veicolo per ricordare e assieme capire il presente, la storia e proprio il cibo infine. Anche i vestiti e la maniera di portare i capelli, corti o lunghi, erano uno specchio di quel mondo senza smartphone e collegamenti internet che sono benvenuti e utili e nascono dalle esigenze di quel periodo di denso minestrone come sono tutti momenti della storia: un mix, il risultato della somma di quello che in essa è accaduto prima.

Il capitalismo esisteva e le disuguaglianze come sempre erano ben presenti, solo che allora si iniziò a chiamare le cose col loro nome. Non è poco e il famoso “il re è nudo” pronunciato dal bambino della fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Andersen era lo stato d’animo, come sempre inconsapevole, di quel 1967. Avevamo già visto la trilogia del Dollaro di Sergio Leone e c’erano un sacco di film interessanti in circolazione. La vita culturale era convulsa al tempo con un’ingenua speranza nel futuro.

Una ricerca del cibo e del tempo perduto

Capivo poco di quel che accadeva in quell’anno e negli anni ’60, tuttavia a distanza nel tempo mi trovo a preparare una pietanza che ricostruisce sensazioni e situazioni che sono familiari, le vivevo ma non me ne accorgevo appieno o almeno così mi sembra ora. Una semplice ricerca su internet (andava bene anche un’enciclopedia ma ci voleva più tempo) ha addensato tutto (come il minestrone). I miei pensieri disegnano persone e situazioni con immagini astigmatiche e nebbiose, i concetti arrivano invece nitidi riemergendo intatti dal passato.

Hanno ragione i molti che parlano della terapeutica esperienza della cucina e in generale del dedicarsi ad attività semplice e manuali. Tritare con la mezzaluna, dosare le quantità e il resto ci collocano in una vita parallela e in un sogno a occhi aperti che in questo periodo virale aiutano a riflettere e affievoliscono la paura.

Il tempo di oggi mi costringe a riflettere sulle differenze di epoca.”La storia siamo noi” canta Francesco de Gregori e nell’anno ’67 appaiono attuali figure e avvenimenti. La guerra dei 6 giorni, Che Guevara catturato e ucciso in Bolivia, la 2 cavalli Citroen, la foto di classe con gli stivaletti e occhiali Ry ban, i primi Levis di velluto verde. La Juve di Heriberto Herrera (HH2) che vince all’ultima giornata col giovane Dino Zoff che, in porta al Mantova, para tutto all’Inter dell’altro Herrera, Helenio. PaoloVI, il golpe dei colonnelli in Grecia, l’Apollo 1 che prende fuoco in rampa, Luigi Tenco e la sua misteriosa morte a Sanremo, Felice Gimondi , Barnard e il primo trapianto di cuore, citando a memoria solo alcuni. Dolori e felicità sono in ogni periodo, le via di mezzo difficile ricordarle, però questa comparazione avvicina gli esseri umani nel tempo (cosa che ha una sua consolazione) e quel mestolo dritto nel minestrone indica la densità non solo materiale con la quale cercare di comprendere quel che ci accade attorno.

 

 

 

 

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