Sentiero Digitale, redazione.
L’indagine geniale.
Dopo circa un quarto di secolo di anonimato, il 2 ottobre scorso, il giornalista del Sole 24 ore Claudio Gatti ha svelato, con un leggero margine di incertezza, il vero nome della scrittrice Elena Ferrante, autrice della tetralogia de “L’amica geniale”. Milioni di libri venduti in tutto il mondo. Sarebbe Anita Raja, traduttrice dal tedesco (nata a Napoli, madre polacca) e moglie dello scrittore napoletano Domenico Starnone. Per farlo ha svolto un’indagine patrimoniale, il metodo detto “follow the money”, frase resa immortale nel film “tutti gli uomini del Presidente”. Ha seguito il flusso di denaro che la casa editrice edizioni e/o ha incassato negli ultimi anni e i compensi versati da questa alla collaboratrice e ne ha dedotto che la scrittrice sotto pseudonimo era proprio la signora Raja. Il giornalista ha condotto l’inchiesta documentandosi anche con visure catastali sugli acquisti di case prestigiose da parte dei coniugi Starnone e Raja ricavandone che questi non sarebbero stati possibili senza i cospicui compensi versati dalla edizioni e/o ad Anita Raja alias Elena Ferrante.
Anita Raja ha smentito di essere lei stessa Elena Ferrante e così ha fatto la casa editrice e/o (era comparso anche un falso account twitter che invece confermava l’identità). A seguire una violenta presa di posizione di media italiani e internazionali e una accesa polemica sul web sulla stampa sulla effettiva necessità-utilità di svelare il vero nome di Elena Ferrante. New Yorker, Times, Financial Times, Guardian e molte testate internazionali, oltre ai nostri quotidiani di informazione, hanno preso posizione e per lo più si può dire che hanno giudicato l’indagine e il suo risultato inutili e quasi sacrileghi. A ricordo Michele Serra, Erri De Luca e Ferdinando Camon si sono espressi dicendo in sostanza che non è necessario conoscere il “vero” nome dell’autore, quel che conta sono le sue parole, quel che trasmette il libro al lettore. Altri invece hanno sostenuto la validità dell’indagine sostenendo che conoscere l’autore e la sua vita può essere importante e che l’inchiesta ha dignità giornalistica. Altri ancora sostenevano che in fondo nessuno di noi ha conosciuto davvero la vita o il vero nome di altri autori del passato e del presente e si è fatto riferimento a parecchi scrittori o artisti che hanno usato uno pseudonimo per firmare le loro opere. In generale chi si cela dietro pseudonimi attira inevitabilmente la curiosità. Qui e qui due articoli usciti anche molto prima dell’ultima inchiesta-rivelazione di Claudio Gatti che dopo le polemiche ha risposto così.
In un editoriale del direttore del Sole 24 ore Roberto Napoletano elogia il metodo del suo giornalista del quale riportiamo l’incipit e capirete il perché.
“La Domenica del Sole 24 Ore è un unicum assoluto nel panorama italiano, un supplemento culturale nel cuore di un giornale economico, e non è casuale che questa inchiesta venga pubblicata qui, in questa casa, dove si mettono insieme l’economia con le sue regole e la cultura che vive di passioni letterarie e scientifiche, il gusto di scavare, senza mai fermarsi all’apparenza. L’idea di esplorare la “pista finanziaria” è proprio figlia del nostro bagaglio di storia e di competenze. Gatti ha portato a termine la sua mission, ha trovato tutti gli elementi possibili di “evidenza contabile”, ma ha anche allargato lo spettro dell’inchiesta giornalistica: ha individuato curiosità, coincidenze e contraddizioni e le ha intrecciate con comportamenti e testi. Ha poi messo in fila i fatti, quelli pubblici e quelli meno noti, dopo averli riscontrati tutti”.
Fate presto.
Giornalismo spazzatura o rivelazione positiva? Non volendo speculare su questa disputa non possiamo non notare che negli stessi giorni nel quale è uscito l’articolo rivelazione di Gatti l’editoriale Sole 24 ore era nella bufera. La relazione finanziaria semestrale, posticipata nella comunicazione di tre mesi dal nuovo amministratore delegato Gabriele Del Torchio, denunciava una perdita di 49,8 milioni di euro. Proprio nel 150° anno dalla fondazione. Secondo il Comitato di Redazione i milioni persi dalle varie gestioni negli ultimi sette anni e mezzo assommano a 300. Cifre che stroncherebbero qualsiasi azienda ma forse non il gruppo editoriale che fa capo a Confindustria che ora ha problemi grossi anche col suo direttore.
Ricapitalizzare è l’unica maniera da parte del cda per venirne fuori e certamente i risparmi si faranno ancora una volta soprattutto sui lavoratori. Ad oggi 1200 persone di cui 200 giornalisti. Personale che da anni come in tutte o quasi le case editrici di giornali subisce stati di crisi, contratti di solidarietà, prepensionamenti anticipati, il tutto finanziato anche con i soldi dello Stato. Qui sul Post.it un articolo esaustivo e assolutamente da leggere di Davide Maria De Luca sulla situazione al Sole 24 ore.
Ora se di indagini “follow the money” c’era bisogno per scoprire il vero nome di Elena Ferrante forse uno stesso tipo di indagine poteva essere svolta nei confronti dell’azienda editrice il Sole 24 ore. Ovviamente per questa seconda parte che raccontiamo non c’è stato lo stesso ritorno mediatico dell’inchiesta Gatti sull’identità di Elena Ferrante. Qui ci sarebbe da vedere le cifre e non di una persona o due ma di un intero gruppo dirigente che sostiene di tenere in piedi l’economia nazionale. Il contrasto tra le condizioni patrimoniali del Sole 24 ore e il fatto che il giornale è il riferimento economico (da sempre e in regime di quasi monopolio) per chiunque voglia agire in borsa o capire qualcosa sui propri miseri o grandi risparmi, è evidente. Il Sole ha avuto e ha ottime iniziative culturali (come il magazine di idee IL e il supplemento domenicale sul quale è uscita l’inchiesta Gatti) e i suoi sono giornalisti preparati e seri che però hanno a che fare col solito conflitto tra il loro predicare bene sulle pagine e il razzolare male dell’azienda. Forse un conflitto inestirpabile nel mondo dell’editoria italiana dove l’editoria pura è una chimera.
Sincronicità.
Da un punto di vista mediatico è interessante l’assoluto coinvolgimento e il grande dibattito con sostenitori a favore e contro dell’iniziativa di Claudio Gatti e la sobria e contenuta descrizione (con qualche eccezione qui e qui) delle vicende, clamorose, del tracollo proprio del gruppo editoriale che ha pubblicato l’inchiesta Ferrante.
Tutto negli stessi giorni. Forse c’entra il desiderio di voler fare commenti distruttivi (anche invidiosi) come sostiene Michele Serra (certo dell’inutilità della rivelazione). Sapere che la scrittrice fa parte della casta, con casa in Toscana in luogo “radical chic” e agiatezze varie, è certamente un argomento da aperitivo, da salotto o da social (fate voi) più stuzzicante della storia fallimentare di un giornale che dovrebbe insegnarci come si fa a far soldi, mantenerli e incrementarli (niente di male per carità) e invece non è in grado di tenere i propri conti in ordine ormai da diversi anni. Tuttavia un’associazione tra i due argomenti è doverosa e almeno per noi è una curiosa sincronicità.
Non resta che leggere “La frantumaglia” di Elena Ferrante e sul sito delle edizioni e/o trovate nella recensione ciò che serve o quel che non serve più.
Ultimi aggiornamenti del 26 ottobre 2016.
Dal sito dell’ottimo il Post leggiamo ancora sulla crisi del Sole 24 ore e qualcosa ancora sulla crisi dei giornali in generale su pagina 99. Tutto ci riporta al 1996. In tempo di Referendum sulla riforma costituzionale, di Sì e di No, non possiamo non pensare al brano musicale di Elio e le Storie Tese: “La terra dei cachi”. Nel brano le parole: “Italia sì, Italia, no, se famo du spaghi…”. Intanto del caso Ferrante non si parla più (da nessuna parte) e resta sui media quel che all’inizio era un contenuto accenno alla crisi del giornale che ha lanciato l’inchiesta sulla vera identità della scrittrice. Forse era questo quel che volevamo sottolineare e meno male.Forse avevamo ragione.